Solo le vetrate separano il primo piano d’artista su Ozmo, al Museo del Novecento di Milano, dalla strada. Sono molti i passanti che da via Marconi si sono fermati ad ammirare l’artista a lavoro all’interno del museo. Ozmo, al secolo Gionata Gesi, classe 1975, pisano di origine e milanese d’adozione, ha lavorato per giorni a un ambizioso progetto promosso da Alessandra Galasso: spostare per un breve periodo di tempo – dal 2 al 26 febbraio – lo studio dell’artista all’interno del museo per dare l’opportunità al pubblico di vederlo all’opera.
Celebre per i suoi maxi dipinti – quello al Leoncavallo di qualche anno fa è stato definito da Sgarbi la Cappella Sistina della modernità – non si è certo lasciato spaventare dai 42 metri per 6 a disposizione al piano terra della galleria. “Una volta visto lo spazio mi si sono aperte un sacco di possibilità, e abbiamo deciso di portare lavori inediti, accostati ad altri già usciti, e nuovi wall painting realizzati direttamente qui” ha spiegato Ozmo tra una pennellata e l’altra: “Il pregiudizio universale è occupare questo spazio adattandomi ai muri e alle luci presenti, ma cercando di farlo mio. Cercando di coinvolgere sia chi viene a visitare il museo, sia chi semplicemente passa qui davanti”. È dal primo giorno della mostra infatti, che vengono distribuiti degli sticker (che rappresentano la firma dell’artista: il mezzo busto incompiuto di un personaggio con il volto da scheletro) da personalizzare e affiggere sulle pareti per accrescere l’esposizione. Per Milano, che negli anni ’90 è stata all’avanguardia nel movimento street art, è senza dubbio un passo avanti. “Nonostante quello che Milano ha rappresentato per la street art, non c’è mai stato un gallerista illuminato, che abbia dato la possibilità ad un artista di poter crescere, che è il significato e l’etimo della parola cultura. È stato bello avere la possibilità di dare questo scossone”. La scelta del museo, che ospita tutte le avanguardie storiche del ‘900 e alla fine dell’esposizione acquisirà un’opera dell’artista, è caduta proprio su Ozmo anche per i continui rimandi alla storia dell’arte contenuti nelle sue opere: “Per me l’opera d’arte deve funzionare come uno specchio, per permettere allo spettatore di riconoscersi, ed è questo il meccanismo che rende i grandi capolavori sempre attuali. I simboli affinati in millenni dalla storia dell’arte danno al mio linguaggio una profondità e un valore che non sarebbe possibile raggiungere solo con le tecniche della street art”. L’esposizione è terminata il 26 febbraio, con l’acquisizione da parte del museo di un’opera a titolo definitivo, mentre le opere alle pareti stanno per essere cancellate con una mano di bianco.
Mario Catania/Jessica Murano