Nello scorso numero di “Nuovi Orizzonti” abbiamo messo in rilievo il fatto che da sempre l’umanità “copia” la realtà, rappresentandola o riproducendola. Ma perché mai abbiamo avuto e abbiamo bisogno di simulare la realtà, il mondo in cui viviamo, gli organismi viventi? Per quale motivo ogni volta che dobbiamo creare o costruire, ci affidiamo a quei modelli che conosciamo, ci riferiamo al già noto?
Tra le molte ragioni c’è certamente il fatto che la natura ci affascina, fa parte di noi e noi di lei, ne ammiriamo l’apparenza, le dinamiche e desideriamo in qualche modo celebrarla, rappresentarla, vogliamo circondarcene, sentirci parte di essa, rispecchiarla ed esserne rispecchiati. La natura è stata ed è è il nostro orizzonte degli eventi, da essa traiamo l’idea stessa di bellezza, di armonia, di pienezza. Chi non ha mai contemplato un tramonto, un’alba o un evento naturale, eventi che in passato sono stati divinizzati da varie culture (il culto del Sole, della Luna,…). Nell’arte per secoli le raffigurazioni della natura sono state presenti, quando non protagoniste, nelle opere degli artisti, e il fatto che il paesaggio, il ritratto e la natura morta continuino a costituire dei topoi molto popolari nel mercato dell’arte costituisce una conferma.
Un’altra ragione della simulazione della natura anziché all’apparenza delle cose naturali e alla rappresentazione della loro esteriorità sembra legata alle caratteristiche, ai comportamenti, alle dinamiche. Ciò che viene simulato sono i processi che soggiacciono alla dimensione naturale. Dato che ne conosciamo le caratteristiche, l’efficacia, le capacità, e che queste sono migliori di quanto come umani riusciremmo mai a fare, ecco che prendiamo spunto da quanto la natura ha perfezionato in milioni di anni di evoluzione, adattandosi alle asperità dell’ambiente e superando un numero imprecisato ma enorme di avversità, minacce, impedimenti, ostacoli. In questi casi ciò che viene simulato non è più l’apparenza ma la funzionalità, non si rappresenta più bensì si ricostruisce.
Questa “simulazione funzionale” è centrale nel campo tecnoscientifico. Secondo Louis Bec, importante studioso delle tecnologie cognitive, “dopo l’avvento delle scienze cognitive, dell’informatica, dell’Intelligenza Artificiale, della Robotica, dell’interattività, è possibile simulare, creare dei modelli e mostrare dei comportamenti sempre più complessi”[1]. Il presuntuoso documento di fondazione dell’Intelligenza artificiale recita che “[…] ogni aspetto dell’apprendimento o qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza può in linea di principio essere descritto in modo così preciso che si potrebbe costruire una macchina in grado di simularlo”[2]. Mentre la Vita Artificiale è un campo di studi e una forma d’arte che cerca di decifrare i principi di base delle vita e di implementarli in una simulazione mediante modelli informatici e robotica (e, più recentemente, il termine, un po’ impropriamente, indica anche applicazioni nel campo della biochimica, come la creazione di organismi biologici sintetici). Secondo il suo iniziatore, Christopher Langton, “la Vita Artificiale studia la ‘vita naturale’ per ricreare fenomeni biologici all’interno di computer e di altri media ‘artificiali’ […]: invece che studiare i fenomeni biologici sugli organismi viventi per vedere come funzionano, noi cerchiamo di mettere insieme sistemi che si comportano come organismi viventi.”[3]
Qualcosa di analogo avviene per la Robotica, che ha una storia che risale ai Greci, anche se il nome è stato inventato nel 1920 dallo scrittore ceco Karel Čapek nel dramma fantascientifico I robot universali di Rossum, e deriva dalla parola ceca robota che significa “lavoro duro” o “lavoro forzato”. La Robotica, che oggi si incontra con la biologia nella biorobotica, a differenza dell’Intelligenza Artificiale che con un approccio top-down pretende di simulare le facoltà umane più elevate (come l’intelligenza simbolica) ha un approccio bottom-up: a partire da strutture e comportamenti semplici costruisce macchine via via sempre più complesse. La robotica è una disciplina che ha dato luogo ad applicazioni molto varie. Essa simula il comportamento del vivente, e nella “robotica antropomorfa”, particolarmente importante nell’ambito sociale, viene simulata anche l’apparenza del corpo umano. I robot devono essere autonomi, percepire l’ambiente in cui si trovano, muoversi e interagire con la realtà che li circonda: dunque il vivente è il modello migliore per costruirli perché proprio in queste competenze ha dimostrato la sua efficienza lungo gli ultimi quattro miliardi di anni di evoluzione. Il vivente conosce già queste problematiche perché le ha incorporate fin dall’inizio della sua esistenza, esse fanno parte delle sue strategie di interazione con l’ambiente, dei suoi comportamenti, il vivente ha esperienza del mondo. La crescita delle capacità degli artefatti umani, nella Robotica, nell’Intelligenza Artificiale, nella Biologia Sintetica e in vari altri campi contigui, è così straordinaria che in un futuro prossimo finiranno con l’emergere spontaneamente dei comportamenti più complessi, una sorta di “Terza vita”, originata dall’umanità, dopo la “Prima vita” (la vita biologica che conosciamo) e la “Seconda vita” (la vita nel virtuale), con nuove forme di vita e di intelligenza autonome non più basate solo sull’organico, sulla biologia del carbonio. E l’evoluzione avrà compiuto un salto in avanti.
Probabilmente la “simulazione funzionale” è entrata nella vita dei nostri avi arcaici prima della “simulazione rappresentativa”, per esempio nella costruzione di utensili, protesi e artefatti che copiavano il funzionamento di denti, unghie e oggetti naturali. È invece giunta nell’arte più tardi e in maniera rilevante solo in epoca recente grazie soprattutto all’impiego di strumenti tecnologici, che hanno consentito di creare opere d’arte più complesse, dinamiche, capaci di apertura, autonomia e interazione. Va in questa direzione, per esempio, l’intelligenza artificiale Angel_F, lavoro creato da Salvatore Iaconesi di cui ci parla Oriana Persico, a cui è stata costruita un’origine, una storia, in grado di interagire in maniera simbolica mediante conferenze e performance pubbliche. L’argomento della simulazione è stato al centro della discussione “Around Simulation”, durata quasi un mese e moderata dal sottoscritto e dall’artista olandese Jennifer Kanary Nikolova, discussione avvenuta nella mailing list Yasmin[4], sponsorizzata dal programma DigiArts dell’UNESCO e network di artisti, scienziati e istituzioni che promuovono la collaborazione tra arte, scienza e tecnologia nel bacino del Mediterraneo. Cristina Trivellin, che in quella discussione è stata tra i respondents, traccia molto bene la varietà e la ricchezza dei temi che sono stati trattati, a dimostrazione del fatto che l’argomento della simulazione è ampio, complesso, articolato, e tocca problematiche fondamentali dell’esistenza e della contemporaneità.
D’ARS year 50/nr 202/summer 2010
[1] Louis Bec, “Les Gestes Prolongés. Postface,” Flusser Studies, http://www.flusserstudies.net/pag/04/louis_bec_post_geste.pdf, p. 4.
[2] John McCarthy, et al., “A Proposal for the Dartmouth Summer Research Project on Artificial Intelligence,” Dartmouth Summer Research Conference on Artificial Intelligence (1955). http://www-formal.stanford.edu/jmc/history/dartmouth/dartmouth.html.
[3] Christopher G. Langton, “Artificial Life,” http://www.probelog.com/texts/Langton_al.pdf, 1.
[4] http://www.media.uoa.gr/yasmin/