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Sfacciata e impenitente, l’arte di Carolee Schneemann spinge i limiti della dimensione creativa oltre tabù e convenzioni – da più di cinquant’anni.
Figura centrale per l’affermazione della performance come territorio femminile e femminista, dai primi anni ’60 l’opera di Schneemann abbandona la tela per conquistare lo spazio fisico e la realtà del corpo. Comincia la sua ricerca sui temi controversi della sessualità e della politica di genere, lungo un percorso d’onestà che rimane strettamente legato alle esperienze personali: Fuses (1964-1967) è un film-collage che ritrae l’artista mentre fa sesso con il compagno, a glorificazione e celebrazione di una quotidianità emancipata. Accolta con grande ostilità e clamore, la pellicola le varrà – anni dopo – un premio a Cannes.
Meat Joy, del 1964, la impone all’attenzione dei media internazionali – in negativo. La performance, presentata a Parigi, Londra e New York, e descritta dall’artista come un “estatico rituale collettivo” tra danze, semi-nudità e carne animale, suscita l’indignazione di stampa e pubblico.
Ammirata da Andy Warhol, Yoko Ono, Marina Abramovic e fonte d’ispirazione per intere generazioni di artisti che lavorano ai limiti di territori inesplorati per tecnica e contenuti, Schneemann prosegue il suo percorso artistico tra l’opposizione della critica e il rispetto dei colleghi.
Negli anni ’70, l’avvento del femminismo le assicura un posto al centro del dibattito culturale, ma la sua opera d’avanguardia rimane spesso incompresa e ingiustamente etichettata come oscena e offensiva. Nel 1975 sfonda i cancelli del mondo della storia dell’arte con la performance Interior Scroll, in cui recita nuda un copione sfilato dalla propria vagina.
L’approccio sensuale e sfrontato le è valso decenni di affronti ideologici e difficoltà commerciale, ma ammalia oggi un pubblico più flessibile e istruito dagli eccessi della quotidianità – artistica ma non solo.
Cristiana Bedei
Water Light/Water Needle
Hales Gallery, London
Fino al 12 Aprile