La Direttrice della GNAM, Cristiana Collu, apre con una ricollocazione e un nuovo design dell’intera collezione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
The Lasting. L’intervallo e la durata e Time is Out of Joint sono le due mostre con cui riapre la GNAM di Roma, ricca di rinnovati intenti programmatici.
La prima, inaugurata lo scorso giugno, si colloca nel grande spazio centrale, già dedicato alle mostre temporanee. Segnale della futura operazione di sconvolgimento temporale è la presenza di due bellissime teste di Vincenzo Gemito appartenenti alla collezione e generalmente collocate in una sala d’epoca. Intorno, i lavori di artisti italiani e non (Hiroshi Sugimoto, Tatiana Trouvé e molti altri), con cui lo stesso Gemito dialoga.
Lo “scandalo” avviene invece ad ottobre con l’apertura ufficiale della GNAM, in concomitanza con l’inaugurazione di Time is Out of Joint. Si tratta di un’operazione forte che stravolge la struttura cronologica espositiva della Galleria suscitando molti giudizi contrastanti, in positivo e in negativo.
Le opere, spostate dai loro spazi storici e rimescolate, sono accostate secondo diversi criteri o linee di lettura. In una collezione che spazia dagli accademici ottocenteschi ai video di Adrian Paci, si vedono ora uniti Alberto Burri e il gigantesco kitsch delle battaglie ottocentesche. In realtà, tale stravolgimento storico non è completamente inedito né così “scandaloso”.
La Pinacoteca di Brera già in passato mostrava pezzi della sua collezione modernista (futuristi, ecc.) su una base collocata nelle sale della pittura antica. Con l’intervento della Fondazione Trussardi e di Massimiliano Gioni, Tino Sehgal aveva poi portato alla Galleria d’Arte Moderna di Milano una serie di performance come una coppia di amanti che si abbracciavano e baciavano appassionatamente rotolandosi sul pavimento, inserendo il mondo affettivo a scuotere le sale. A Firenze ha stupito la presentazione del teschio ricoperto di diamanti di Damien Hirst agli Uffizi o la Tartaruga su cui cavalca Jan Fabre in Piazza della Signoria mentre il suo “Uomo che misura le nuvole” si arrampica su una scala di fianco al David. Senza dimenticare gli ancora più eccessivi lavori dello Young Brit Mat Collishaw, i quali hanno portato a Roma, dentro la Galleria Borghese, installazioni digitali che modificavano le opere di Caravaggio fabbricando dei trompe-l’oeil vicini al cinema. Ricordiamo, infine, quasi vent’anni fa al Groninger Museum in Olanda (progettato da Mendini e Starck), dove fotografie post-human venivano affiancate a nature morte della grande tradizione olandese del Seicento. L’elenco sarebbe lungo, ma quello che avviene alla GNAM si muove sulla ricomposizione di opere già in possesso del museo e riorganizzate attraverso collegamenti tematici o percettivi.
Time is Out of Joint è l’enigmatica frase dell’Amleto di Shakespeare che titola la mostra, enigmatica al punto da far scrivere un saggio a Derrida. Il tempo è uscito dai suoi confini e non siamo più in grado di misurarlo. Soprattutto nel campo dell’arte moderna, gli infiniti rimescolamenti, ritorni e riproposte stanno creando una situazione di sempre maggiore disordine e complessità linguistiche.
Le stanze, svuotate e ridefinite ex novo, hanno punti di forza e punti di debolezza. Fra gli incastri maggiormente riusciti mi sembra ci sia la sala che affronta il tema della violenza, rappresentata da giganteschi quadri risorgimentali di battaglie, accostati a opere che alla violenza si richiamano attraverso il colore e la forma. Il bellissimo Alberto Burri di plastica rossa bruciato e lacerato legge dall’interno il declamato eroismo ottocentesco e ne decifra la sua rappresentazione come violenza e dolore, riflettendo in maniera critica i fatti storici rappresentati. Rispecchiamenti analoghi si riscontrano anche nella sala dove il “mare” di Pino Pascali si riflette con la sua geometria nell’opera di Piet Mondrian: inaspettatamente tale razionalismo dialoga con il neoclassico Canova dell’Ercole e Lica. Si stabilisce una corrente percettiva fra le ordinate punteggiature “bianco su bianco” di Enrico Castellani e l’ordinatissimo e bianchissimo “disordine” dell’Ercole “furioso”. In questo modo razionalità e natura sono i punti sempre ritornanti del fare creativo.
Alle spalle di Ercole e Lica il grande pannello di Giuseppe Penone Spoglia d’oro su spine d’acacia ricoperto di spine e foglia d’oro ci porta in una dimensione mitica e leggendaria.
Sarà possibile per la GNAM mantenere una dimensione di tale estrema libertà senza rinunciare alla sua matrice storica e didattica?
Si vedrà nelle prossime iniziative coordinate dalla direttrice Cristiana Collu e dalla possibilità di mediazione con le funzioni della Galleria. Per il momento la nuova installazione crea un effetto di spaesamento interessante e positivo per i visitatori, un attraversamento e un affidamento di lettura dato al pubblico stesso attraverso la scelta di affinità percettive che si possono creare fra opere assai diverse stilisticamente e cronologicamente. E ancora attraverso la funzione creativa del disordine, che tanta parte ha nell’arte contemporanea dal Dadaismo in poi.
Lorenzo Taiuti
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Viale delle Belle Arti 131, Roma
The Lasting. L’intervallo e la durata | fino al 29 gennaio 2017
Time is Out of Joint | fino al 15 aprile 2018