Uscita l’edizione italiana del libro di Heinrich Geiselberger, La grande regressione. Quindici intellettuali da tutto il mondo spiegano la crisi del nostro tempo. Una raccolta di contributi che riflettono sui temi più caldi dell’attualità
La parola crisi può considerarsi sinonimo di presente nel suo perdurare quasi cronicizzato. Fenomeni che si credevano superati dalla cosiddetta fine della storia si riaffacciano sulla scena globale in forme minacciose e spiazzanti. L’urgenza di nuovi strumenti interpretativi ha spinto Heinrich Geiselberger a raccogliere diverse testimonianze in un volume che, pochi mesi dopo la pubblicazione in Germania, esce in edizione italiana: La grande regressione. Quindici intellettuali da tutto il mondo spiegano la crisi del nostro tempo (Feltrinelli, 2017). Bruno Latour, Arjun Appadurai, Zygmunt Bauman, Slavoj Žižek, Paul Mason, Nancy Fraser, Eva Illouz, tra gli altri, sono stati invitati a scrivere dei saggi “a caldo” partendo proprio dalle questioni più attuali come l’avanzata del populismo, le migrazioni, il terrorismo, i problemi ambientali, il post-capitalismo cercando di collocarle in una prospettiva storico-critica e, al contempo, sottrarli alla ridondanza e alla virulenza dei dibattiti mediatici.
Idealmente il ponte viene lanciato dagli anni Novanta, dopo la caduta del muro e il disfacimento del blocco comunista, quando si comincia a parlare di globalizzazione rileggendo le aspettative, le previsioni, i timori di allora alla luce degli sviluppi odierni. La tesi della regressione non presuppone un andamento lineare della storia ma vuole piuttosto evidenziare le difficoltà di far fronte a questa complessità su scala globale, sia da parte della politica che della cultura.
L’affermazione di regimi autoritari, il voto della Brexit, la vittoria di Trump sembrano fenomeni irrazionali dovuti all’ignoranza, alla cecità collettiva, al divario tra fatti e propaganda: una lettura che diversi autori hanno criticato e ricollocato in una certa tradizione storica. Secondo Pankaj Mishra, per esempio, bisogna staccarsi dalla concezione illuminista dell’azione secondo cui l’homo oeconomicus borghese è orientato dai suoi istinti verso la ricerca della felicità. Ci sono fattori oscuri ma altrettanto importanti come il prestigio, il timore del cambiamento, la vanità, la paura, la vendetta che già un secolo fa smentirono gli ideali liberisti. Oggi gli indicatori di successo sono imposti dal mercato per cui sempre più persone e istituzioni si ritrovano obsolete, continuamente sottoposte a meri calcoli di profitto. Tutto ciò provocherebbe l’irruzione di arcaismi nella società contemporanea: il risentimento, la ricerca di capri espiatori, la violenza persecutoria, una sorta di rivolta nichilista e disperata.
L’analisi di Robert Misik tenta di fotografare coloro che si sentono esclusi e dimenticati da questo sistema – ribattezzato in modo eloquente con il neologismo Kaputtalismus (kaputt significa rotto, che non funziona più). Non c’è un gruppo sociale omogeneo assimilabile ad una specifica classe e, al contempo, il numero crescente di precari preme come elemento aggiuntivo di grande instabilità. La disuguaglianza opera in maniera sia verticale che orizzontale.
Oliver Nachtwey sviluppa la tesi secondo cui i processi di decivilizzazione sono accompagnati da una perdita di controllo dell’emotività e degli istinti alla quale internet offrirebbe un’arena privilegiata. L’assenza di alternativa al mercato ha obbligato l’individuo a interiorizzarlo. I rischi sociali non sono più espressione di un destino condiviso o di una congiuntura storica ma diventano dei fallimenti individuali senza alcuna risposta sociale.
Slavoj Žižek sostiene che sia giunto il momento di passare dalla paura alla angoscia, poiché la paura spinge ad annientare l’oggetto esterno mentre l’angoscia arriva a mettere in discussione l’identità stessa che si presuppone minacciata. Questo passaggio aprirebbe ad un lavoro di ridefinizione del singolo rispetto alla comunità superando il vecchio ed entrando in una nuova dimensione sconosciuta ma urgentemente necessaria. L’emergenza non è una scusa per restare arenati nei vecchi schemi di pensiero ma diventa, al contrario, il momento giusto per pensare. Altrettanto interessante è il passaggio descritto da Ivan Krastev secondo il quale, in passato, i partiti rappresentavano gli interessi di determinate minoranze e la democrazia aveva una funzione emancipatoria; oggi, invece, la principale forza politica sono le maggioranze minacciate e, dunque, la democrazia si è ridotta a una vuota struttura di consolidamento. Uno dei capitoli più brillanti è firmato da Nancy Fraser che presenta una diagnosi acuta delle strategie politiche americane da Clinton fino a Trump dimostrando l’esistenza di determinate concatenazioni ed alleanze dietro l’apparente sorpresa delle ultimi elezioni.
L’uscita di questo volume, inoltre, rende accessibili al pubblico italiano anche un paio di autori non ancora (o solo parzialmente) tradotti che vale sicuramente la pena di approfondire; il tutto accompagnato da un sito internet ricco di ulteriori contributi, interviste, articoli in inglese e in tedesco.
Clara Carpanini