Per chi vive a stretto contatto con l’espressione artistica contemporanea, come appassionato o come addetto ai lavori, certamente non è una grande novità affermare che l’Italia non è solo patria di capolavori dell’arte antica medioevale e rinascimentale, ma è anche il paese che ha dato i natali ad artisti divenuti grandi maestri del contemporaneo internazionale e fucina sperimentale di tendenze e correnti confermatesi e considerate tra le più interessanti degli ultimi cinquant’anni di storia dell’arte. Se il nostro tanto declamato patrimonio storico-artistico, in ambito progettuale, di tutela, di investimenti e di realizzazione, purtroppo è ancora in attesa della così detta svolta, per quanto invece concerne il “mondo del contemporaneo”, possiamo e dobbiamo prendere atto che si sta verificando un’interessante e sensibile riflessione.
Certamente la strada da percorrere è ancora molto lunga e tortuosa, gli errori e le scelte quanto meno discutibili si susseguono e tanto a mio avviso si dovrebbe fare o potrebbe essere fatto. Altrettanto vero è che negli ultimi dieci anni in Italia stiamo assistendo ad un’importante “museizzazione” del contemporaneo; come sempre e come in tutti settori, quantità non è sinonimo di qualità, ma, nella maggior parte dei casi, prendiamo atto di un lavoro svolto con approfondita ricerca, progettualità e rispetto per l’opera d’arte. A tale proposito abbiamo pensato di iniziare, con questo numero della rivista, un’indagine sui vari musei, fondazioni e collezioni assurte nel “Bel Paese”, sia nei maggiori centri urbani, che nelle realtà così dette appartenenti alla provincia.
Il nostro viaggio ha inizio in Emilia e nello specifico a Reggio Emilia, dove più di trent’anni fa Achille Maramotti, fondatore di Max Mara – nota azienda del campo dell’abbigliamento – inizia a riflettere sulla possibilità di costituire una raccolta d’arte contemporanea fruibile al pubblico. Siamo negli anni Sessanta, quando Maramotti si lascia affascinare dall’arte contemporanea e inizia ad acquisire le prime opere. Uomo dotato di innato gusto estetico, subito si lascia guidare dall’istinto e volge la sua attenzione alla produzione artistica realizzata dopo 1945. L’obbiettivo è quello appunto di dare vita ad una raccolta d’arte, che tratteggi il proprio tempo, l’attuale, un’iconografia tangibile dell’espressione contemporanea. Il luogo deputato ad accogliere le opere diviene immediatamente la sede dello stabilimento Max Mara, che fino al Duemila ha visto così un forte connubio tra arte visiva, moda ed architettura. Una sinergia che continua tuttora, in quanto l’allora stabilimento è divenuto oggi il “domicilio” permanente della collezione. Il progetto dell’edificio risale al 1957 e lo si deve agli architetti Pastorini e Salvarani; un’idea architettonica estremamente innovativa per l’epoca, dove la versatilità degli ambienti, l’illuminazione e la ventilazione naturali sono alcune delle prerogative strutturali. Dopo il 2003, quando l’azienda si trasferisce in altra sede, la riqualificazione degli spazi è affidata all’architetto inglese Andrew Hapgood, che interviene non stravolgendo la struttura, ma nel rispetto degli ambienti e dell’ambiente naturale circostante. Un luogo suggestivo, duttile, che ha mantenuto l’essenzialità dell’architettura industriale, convertendosi al contempo in uno spazio innovativo, dove il contenitore non opprime e prevale sul contenuto.
La collezione permanente, di cui fanno parte circa duecento opere tra pittura, scultura ed installazioni, si sviluppa su due piani, in un percorso di ben quarantatre sale e due open space. Il primo piano ospita opere di artisti italiani ed europei dalla fine degli anni Quaranta alla fine degli anni Ottanta, mentre il secondo espone opere americane ed europee dagli inizi degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta. “Questa collezione – afferma la Direttrice Marina Dacci – non si propone come lettura museale di alcuni capitoli dell’arte contemporanea, ma come biografia ragionata del collezionista, con il suo gusto, i suoi azzardi, le sue emozioni. Non è solo, infatti, il filo cronologico che riguarda la produzione dei lavori ad accompagnare il visitatore, ma anche il filo cronologico delle acquisizioni”. Gli artisti sono qui rappresentati da opere estremamente significative del loro periodo artistico, nel momento in cui con la loro espressione apportavano all’interno del mondo dell’arte contemporanea un’importante ricerca sperimentale. Sono presenti nuclei importanti della Pop romana, dell’Arte Povera, della Transavanguardia e del Neo Espressionismo tedesco e americano, significativi artisti americani degli anni Ottanta e Novanta, fino ad arrivare alle più recenti sperimentazioni inglesi ed americane. Prerogativa della collezione è anche quella di non fermarsi nelle acquisizioni, ma di proseguire nella ricerca, trovando negli eredi la volontà di impegnarsi a fondo in un progetto di valorizzazione delle opere anche con mostre temporanee ed intraprendendo percorsi basati sulla continua esplorazione. Testimonianza del continuo ed innovativo impegno dell’azienda nel campo dell’arte è il Max Mara Art Prize for Women. Il premio, biennale e aperto ad ogni forma di espressione artistica, vuole promuovere e sostenere giovani artiste donne residenti nel Regno Unito, alle quali viene offerta la possibilità, con un soggiorno di sei mesi in Italia, di sviluppare e realizzare un progetto artistico. La collezione Maramotti può essere quindi considerata a tutti gli effetti un luogo nel quale tradizione ed innovazione sono state e continuano ad essere le principali fonti alle quali attingere per intraprendere il presente e il futuro.
Alberto Mattia Martini
D’ARS year 48/nr 194/summer 2008