Sono moltissimi gli artisti non ceramisti che in ogni età hanno affidato al linguaggio ceramico la comunicazione estetica del proprio sentire, ricorrendo alla collaborazione con maestri ceramisti e manifatture qualificate; in taluni casi, questa mediazione ha dato vita a capolavori della ceramica e dell’arte tout court. In tal senso, quello di Luigi Ontani rappresenta un caso emblematico.
In primo luogo per la valenza universale della sua produzione ceramica, legata, oltre che alla natura multiculturale dei messaggi affidati dall’artista al medium ceramico, alla visibilità internazionale del suo lavoro, che si concretizza non di rado in realizzazioni straordinarie per dimensione e impegno esecutivo, tali da rappresentare anche un’occasione di prestigio e valorizzazione dell’eccellenza italiana dell’arte del fuoco. Inoltre perché la perfetta intesa che l’artista ha saputo stabilire con coloro ai quali è affidata la realizzazione delle sue opere, gli ha consentito di articolare il proprio impegno creativo nelle fasi dell’invenzione e della conduzione ex machina dei processi produttivi, delegando completamente la pratica del fare, e quindi per la lampante affermazione di un principio di idealizzazione dell’arte, che separa ed assegna a individualità distinte il momento ideativo fondante e la prassi meccanica. Dagli anni Novanta, infatti, Ontani ha stabilito con la Bottega Gatti di Faenza un fortunato sodalizio artistico, che nel tempo ha prodotto una perfetta concordanza di intenti, tale da rarefare l’intervento manuale e diretto dell’artista, demandando l’intero processo esecutivo alla sapienza e al virtuosismo delle maestranze faentine.
Parallelamente la produzione figulina ontaniana ha manifestato un sensibile incremento nella quantità e nella complessità, raffinatezza e grandiosità degli esiti, tanto da connotarsi come stile personale, riconosciuto, ricercato e imitato nel mondo, attraverso il quale il maestro ha portato ai massimi livelli non solo le qualità materiche, plastiche o decorative dell’opera ceramica, ma l’identità stessa di quest’arte, «nella quale forma-materia-colore sono una cosa sola»(1).
[1. G. Ponti, Picasso convertirà alla ceramica, in Domus, n. 226, 1948]
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Francesca Pirozzi
D’ARS anno 56/n. 223/estate 2016 (incipit dell’articolo)