About Art è il titolo della mostra di Keith Haring ospitata a Palazzo Reale, nelle cui sale sono esposte più di cento opere dell’artista. I suoi “omini” stilizzati, in costante dialogo con i diversi linguaggi dell’arte, rappresentano un universo in bilico tra cultura pop e colta
Keith Haring (Reading 1958- New York 1990) è forse uno degli artisti più conosciuti al mondo. Anche chi non ricorda il suo nome riconosce le inconfondibili sagome colorate che nel corso degli anni si sono propagate ovunque. “Keith Haring” è diventato una specie di “marchio di fabbrica” da sfoggiare su t-shirt e oggetti di ogni tipo. Un eccesso esasperato che tuttavia ha centrato l’obiettivo che l’artista non ha mai perso di vista: portare l’arte fuori dal museo. Il linguaggio di Haring è semplice e diretto. Le sue opere reinterpretano con estrosità gli archetipi della tradizione classica, dell’arte tribale ed etnografica, l’immaginario gotico e i cartoon, oltrepassando il concetto di Pop Art e l’etichetta di graffitista.
La storia di Keith Haring ha inizio nelle metropolitane di New York degli anni ’80. Sono gli anni dell’eccesso, delle droghe, dell’edonismo, della voglia di affermarsi e apparire. La Grande Mela è in fermento e per gli artisti la voglia di sperimentare e di rompere le tradizioni diventa necessità. Haring inizia a disegnare quasi per caso, come è lui stesso a raccontare. Durante un tragitto in metro, trova all’uscita del vagone uno spazio pubblicitario inutilizzato e decide di riempirlo con le sue idee. Gessetti bianchi alla mano e su quello sfondo nero compare il suo primo omino. La gente lo osserva, è perplessa: il suo è un laboratorio pubblico che attrae. Quell’episodio sarà il primo dei tanti gesti controcorrente che lo vedranno protagonista indiscusso dell’arte, passando di metro in metro sino ad arrivare nella galleria del grande Tony Shafrazi.
La mostra di Milano, a Palazzo Reale, è un allestimento emozionante diviso in diverse sezioni che ci offrono un ritratto intenso dell’artista. Tra i vari Untitled spicca il presagio contenuto in Walking in the Rain (1986) e una delle sue ultime opere, Unfinished Painting (1989), dipinto non finito, o infinito, che sottolinea la sua concezione ciclica dell’arte e della vita da cui si finisce per ricominciare.
Keith Haring è l’espressione di una controcultura socialmente e politicamente impegnata su problematiche proprie del suo e del nostro tempo: razzismo, droga, minaccia nucleare, alienazione giovanile, discriminazioni delle minoranze, arroganza al potere e AIDS. Keith Haring ne rimane coinvolto in prima persona e morirà nel 1990 a poco più di trent’anni, in seguito a complicazioni dovute alla malattia. Il suo impegno per la lotta all’AIDS è stato immenso e rimane tuttora tangibile. Nel 1989 fonda la Keith Haring Foundation, che continua ancora oggi la sua opera di supporto alle organizzazioni a favore dei bambini e della lotta al virus (vedi qui).
Il contributo più grande che Keith Haring ha lasciato al mondo dell’arte è quello di riuscire a ricomporre i diversi linguaggi del mondo in un immaginario simbolico unico e al tempo stesso universale, riconoscibile da tutti. I protagonisti dei suoi dipinti siamo noi di fronte ai nostri problemi sociali e individuali. L’attivismo nei confronti dei tabù e la semplicità con cui è stato in grado di affrontarli fanno di Haring un artista singolare rispetto ai suoi contemporanei.
Flavia Annechini
Keith Haring, About Art, a cura di Gianni Mercurio
Palazzo Reale, Milano
Dal 21-2 al 18-06 2017