Se non fosse per la mediazione spazio-temporale compiuta dalla mostra dei portoghesi Gusmao e Paiva, nei cui ambienti notturni lo spettatore deve necessariamente avventurarsi per incontrare quella di Joan Jonas, la fascinosa immersione sensoriale profusa dall’infilata di video e installazioni negli spazi profondi e maestosi della doppia navata dell’HangarBicocca sarebbe in misura maggiore potenziata. Opere continuamente aperte a scambi e interferenze, non definite negli indirizzi della loro costruzione, quasi sperimentali, trovano in questo spazio totale un territorio d’azione favorevole, dove il coinvolgimento del pubblico-esploratore è un passaggio fondamentale di un processo dinamico di fruizione e riscrittura.
Light Time Tales è la prima retrospettiva dell’artista americana organizzata in Italia, dove peraltro nel 2015 Joan Jonas coronerà la sua lunga carriera rappresentando gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia.
Pioniera, nei tardi anni Sessanta, delle nuove potenzialità offerte da video e performance, come linguaggi propri e nel loro combinarsi, l’artista dimostra uno slancio creativo sensibile all’indagine delle zone di frontiera tra differenti esperienze e moduli espressivi, dilatando limiti e registrando punti di contatto. Un complesso lavoro di tessitura, formale e sostanziale, in cui il ricordo della memoria traccia il percorso, e dove la reclamata multidisciplinarità, innegabile lascito di quella straordinaria temperie di vitalità creativa che fu Fluxus, ben si accorda con uno strumento versatile quale il video e con la libertà espressiva della performance.
A partire dal 1994 Joan Jonas si è avvalsa dell’installazione come ulteriore media artistico. Alcune delle sue più importanti performance sono state “decostruite” e presentate in mostra nelle vesti di installazioni multimediali: video proiettati su vari supporti, oggetti, disegni e segni di un’azione avvenuta determinano l’ambiente in cui è chiamato ad avventurarsi lo spettatore, spesso disorientato da tale congerie di immagini e forme singolarmente poco significative quanto invece il loro impiego performativo. Così, laddove presenti, ci si rifugia nei documenti filmati delle performance e ci si chiede se il valore di tali raggruppamenti sia più da intendere come testimonianza o al contrario per sé stesso. Il dubbio permane quando si scopre che la risposta esatta è la seconda.
Il racconto letterario è certamente una delle materie che più istigano la vampa creativa dell’arte scenica di Jonas. I suoi teatri totali e fagocitanti sono plasmati sovente da diversi mondi di storie: racconti epici del Nord estremo animano Volcano Saga (1985/1994), abbraccio tra realtà naturale e sogno mitico, mentre opere più recenti come quelle della poetessa Hilda Doolittle sono alla base di Lines in The Sand (2002), dove l’illusione viaggia tra mito, storia e presente. In queste come in altre opere, brani dei testi vengono estrapolati, adattati e recitati, divenendo veicoli sulla strada di un leggendario viaggio. Ed è proprio il viaggio, ripercorso in un ricordo lucidamente trasfigurato, a nutrire il sincretismo dell’artista, licenziando materia artistica sospesa sulla reminiscenza delle esperienze vissute nell’incontro con saperi e pratiche lontane. Sia il battito ligneo del teatro tradizionale giapponese, impronta sonora tra le meccaniche coreografie di Songdelay (1973), che il rito del serpente dei nativi americani, rivissuto sulla scorta dei racconti di Aby Warburg in The Shape, The Scent, The Feel of Things (2004/2007), diventano affermazioni di questo sentito interesse iperculturale. La sembianza inafferrabile e in parte sofisticata di queste storie viene mitigata dalla comparsa di oggetti ed elementi riconoscibili e immediatamente comunicanti, tra questi il cane, presenza costante nell’opera di Joan Jonas, emblema del ripetersi della storia umana nella sua quotidianità.
Gli spazi dell’HangarBicocca hanno anche avuto il privilegio di ospitare dal vivo l’ultima suggestiva performance dell’artista, Reanimation, col suo fluire maliardico ed ipnotico verso un pubblico straordinariamente numeroso, dove la rappresentazione dilegua lasciando libertà all’evocazione più pura, e sui ritmi a tratti dolcemente malinconici, a tratti elettronicamente impetuosi, del pianista Jason Moran avvertiamo lo scioglimento della ragione nello spirito naturale.
Egidio Emiliano Bianco
Light, Time, Tales
Joan Jonas
a cura di Andrea Lissoni
fino al 01.02.2015
HangarBicocca/Milano