Jim Houser (Philadelphia, 1973) è uno spilungone con la faccia da buono che ama lo skate. Ha iniziato la sua carriera d’artista proprio da lì, una ventina d’anni fa, disegnando grafiche per le tavole, e oggi è uno dei collaboratori più affezionati del marchio Toy Machine. Poi sono venuti i dipinti, le sculture, le installazioni, finché il gallerista Jonathan LeVine di New York, specializzato in arte underground, l’ha preso nella sua scuderia. La sua vita è segnata da un tragico lutto, quella della moglie Rebecca (Westcott, 1976-2004), anche lei artista, morta in un incidente stradale. A Position on a Map è la sua seconda personale alla Galleria Patricia Armocida di Milano.
Da lontano, le sue pitture sembrano grafiche digitali bidimensionali, dai colori pieni e i contorni netti. Viste da vicino, meglio ancora in controluce, si rivelano invece dei collage, fissati su tavole di legno spesse qualche dito: tridimensionali e rigorosamente fatti a mano, con una precisione da miniatore. Houser si concentra a volte su un’unica idea: una figura (A Duo), una scena (Hush), una natura morta. Un singolo ricordo pescato nella propria testa. Altre volte dipinge una moltitudine di piccoli disegni su tanti foglietti di carta, che compone poi in un grande patchwork a illustrare un pensiero più complesso, nel quale le memorie del passato si mescolano a riflessioni del momento che prendono non solo la forma di immagini, ma anche di parole e brevissime poesie.
Guardare (e leggere) le pitture di Houser mette addosso una serena malinconia – o una malinconica serenità, come preferite. Quell’omino dalla testa tonda, alterego dell’artista, sempre sorridente, ma sotto sotto un po’ mesto; i fantasmi cactiformi; le candele accese; i passerotti innamorati: c’è calma e calore, ma sempre risuona l’eco del ricordo della moglie Rebecca. I suoi due colori preferiti sono il blu e il rosso: blu come l’acqua e rosso come il sangue, dice lui. Ecco, l’arte di Houser è compresa tra questi due elementi, questi due liquidi dal significato opposto: uno evocante la vita, l’altro la morte. Questa tensione ci fa ripensare alle opere di un altro artista esposto dalla Galleria Patricia Armocida qualche mese fa, l’olandese Parra, come Houser amante del rosso e del blu, colori quasi esclusivi delle sue tele, che raccontano drammi e incomprensioni attraverso un’estetica da fumetto alla Pimpa (anche lui, poi, viene dall’ambiente skate e negli USA lavora con Jonathan LeVine).
Oh già, poi ci sono gli assemblage, la sua invenzione più riuscita, in cui dipinti, collage, oggetti e poesie stanno gli uni accanto agli altri (GNRS). E le installazioni – a Milano ce ne sono due, non delle più riuscite – spesso accompagnate da una colonna sonora, scritta e suonata dallo stesso Houser, che tra un pittura e l’altra si sfoga alla chitarra. Una di esse, composta da una pila di colorati amplificatori e bizzarre chitarrine fatte in casa, la si vede sulla copertina del suo primo album, che si chiama come lui (si può comprare il vinile, con booklet di 16 pagine illustrate a colori, su Free News Projects; oppure si può scaricarlo in versione mp3 su iTunes).
Continua la collaborazione della galleria con l’azienda Fontegrafica nella realizzazione dell’invito alla mostra, che riproduce un lavoro esposto con materiali e tecniche di stampa d’avanguardia che imitano le caratteristiche dell’opera originale – in questo caso il collage A Position on a Map (2013).
Stefano Farrari
Jim Houser. A Position on a Map
21 gennaio – 18 aprile 2014
Galleria Patricia Armocida, Milano
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