Tre sedi istituzionali per la mostra di Jan Fabre, Spiritual Guards. Dopo l’ecologismo di Giuseppe Penone e le iterative installazioni di Antony Gormley, l’esposizione, curata da Joanna de Vos, porta a Firenze una ventata “diabolica”. Fabre, dotato di rara e vitale originalità, si colloca nella rosa degli artisti più interessanti nel quadro europeo.
Fino al 2 ottobre in tre importanti spazi espositivi di Firenze – Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio e Forte Belvedere – sarà visitabile la mostra di Jan Fabre, Spiritual Guards. L’evento popola la città di grandi sculture in metallo dorato (bronzo al silicio), che scintillano nella piazza così come al forte. Una dichiarazione di Fabre apre le presentazioni: “Un guardiano spirituale è un simbolo del pensiero e del movimento oltre i confini. Un guardiano spirituale mira a dimostrare che l’accettazione del cambiamento è una virtù. Un guardiano spirituale vuole compensare la gravità dell’esistenza. Un guardiano spirituale tende a proteggere l’intenzione profonda del vivere. Un guardiano spirituale desidera lasciare una traccia ed essere presente. Un guardiano spirituale vive tra il suo essere armato e disarmato allo stesso tempo. Un guardiano spirituale mantiene il potere dell’immaginazione”.
Malgrado l’imponente apparato museale costituito dalla città e dai luoghi, si riconosce subito lo spirito attivista e militante che caratterizza il lavoro dell’artista: il “Guardiano Fabre” è paragonabile alle “Sentinelle del Cielo” di un famoso romanzo di fantascienza nel quale presenze planetarie sorvegliano e difendono il pianeta Terra da influenze negative. Fabre vede se stesso (e si rappresenta) come un personaggio di Science Fiction o Fantasy: come sempre eroe di tutte le proprie idee/imprese, tanto che i (somigliantissimi) personaggi che stanno, immobili, a misurare le nuvole, sembrano dei freeze-frame delle sue performance.
In Cercando Utopia l’eroe che si contrappone al cavaliere Cosimo I dei Medici è appunto Fabre raffigurato a cavallo di una gigantesca tartaruga che evoca il Drago-Tartaruga, animale fantastico e simbolo positivo nella cosmogonia cinese, collocato con un bel colpo di teatro nel centro di Piazza della Signoria. Altri pezzi emergono fra gli oggetti di collezione nelle varie stanze di Palazzo Vecchio: una spada ricoperta di scarabei dorati, la “Spada Spagnola”, così come lo è un pezzo d’armatura. Qui gli oggetti soffrono un po’ il peso dello spazio sovraccarico d’immagini del Palazzo. Solo il grande Globo impone la sua presenza; replica del famoso mappamondo della vicina sala delle carte geografiche, ricoperto di scarabei, simbolo egiziano delle forze che muovono il mondo.
Cambia lo scenario nel Forte del Belvedere dove oggetti scintillanti occupano il forte e le sue terrazze erbose: riproduzioni della testa di Fabre, trasformate in animali fantastici dalle enormi corna, si stagliano sullo sfondo di Firenze. L’uomo che porta la croce (ennesimo simbolismo, però cristiano) non esprime fatica ma sta in equilibrio sulla mano mentre L’uomo che dirige le stelle tiene una bacchetta nell’evidente sforzo di muovere l’universo. Ma la figura che forse esprime meglio il complesso carattere dell’artista è L’uomo che piange e ride, immagine uscita dall’universo espressionista che rappresenta insieme il dolore e il riso, mentre vere gocce d’acqua colano dal volto al piedistallo su cui è posta la statua; una risata ricorrente e sarcastica risuona da un microfono interno.
La risata che si mischia al dolore è tipica della cultura dalla quale proviene il lavoro di Jan Fabre, che da una parte si colloca nelle esperienze storiche del proprio paese, da Bosch a Magritte, dall’altra nell’atteggiamento di sfida perpetua che origina anche dalla sua crescita nella stagione punk, dalla quale Fabre mutua molte caratteristiche. Ma resta difficile attribuire un solo aspetto al lavoro dell’artista o una sola fonte iconografica. Nella sua (affascinante) megalomania si mischiano planetarie cosmogonie, simboli religiosi di varie provenienze, provocazione e contemplazione, attivismo e fuga, in un inestricabile groviglio del quale è chiara la strategia, declinata sempre in sorprendenti soluzioni.
Molto importante è l’adesione entusiasta del pubblico; in Piazza della Signoria il cavaliere sulla tartaruga scatena selfie e folla. Questo può essere dovuto alla componente spettacolare e esoterica delle opere, ma anche alla capacità di incuriosire e attrarre il pubblico con una serie di piccole trappole di senso che si susseguono fino al momento di una conclusione lirica, poetica ed enigmatica. Il kitsch, che Nicolas Bourriaud tende a considerare uno dei “contenitori” dell’arte contemporanea e un tramite di dislocazioni di estetiche, è qui portatore efficace di contenuti ibridi e attraenti per pubblici differenziati.
Lorenzo Taiuti