C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
(Walter Benjamin).
Inizia con questa immagine la spiegazione del progetto InContext da parte di Pietro Cortona, incipit di una serie di note raccolte durante l’evolversi creativa di questo progetto artistico/urbano, inaugurato il 12 dicembre e vincitore della prima edizione del Premio Roberto Daolio.
Venti artisti, sotto il ponte di Via Libia a Bologna, si prendono cura di uno spazio abbandonato, dimenticato. Lo puliscono, ci vivono, tengono aperte le porte e conoscono gli abitanti del quartiere della Cirenaica. Attraverso questa esperienza “viva” e consapevole, realizzano le loro opere e le posizionano nelle sette stanze al di sotto del ponte. Opere che come feticci sigillano la fusione tra l’esperienza personale di ogni singolo artista, la storia del luogo, la storia del quartiere e delle persone che vi abitano.
Le opere rimarranno esposte fino al mese di marzo con ingresso libero, facendo pausa per il periodo natalizio. Una volta terminato il periodo di esposizione gli artisti lasceranno lì i lavori esposti, come un marchio indelebile, come un gesto provocatorio rivolto a tutti i visitatori e agli abitanti del quartiere. Rivolto a chi sa, a chi conosce la loro storia, rivolto a chi si è affezionato a loro e al luogo, una volta inesistente perchè abbandonato e ora presente, vivo, grazie a questa esperienza artistica. L’arte ha questo potere, non solo illumina, ovvero punta il riflettore, ma giudica, si esprime e (ri)costruisce un senso, una personalità altrimenti scomparsa, seppellita.
La parabola del progetto percorre queste tappe: dall’abbandono-assenza, passa all’abbandono-presenza, per poi tornare all’abbandono dello spazio e delle sue opere. L’abbandono-assenza di uno spazio è frutto della società contemporanea basata sul “produci e consuma”, che oltre agli oggetti travolge anche gli spazi, rendendoli di fatto socialmente inutili. L’abbandono-presenza è il concetto cardine di InContext, che si concretizza attraverso gli artisti e le opere che rompono questo silenzio e richiamano l’attenzione della cominità nel luogo dismesso del Ponte di Via Libia; l’abbandono dello spazio e delle opere è il concetto che invece chiude la parabola di InContext. Attraverso questa esperienza il progetto rivela uno spazio e lo ri-consegna al quartiere e alla sua comunità.
La scelta di questo gesto da un lato si dimostra come una forte spinta rivolta alla riqualificazione sociale; dall’altro è una critica indirizzata a quel mondo dell’arte che si posiziona parallelamente alla vita reale, il mondo asettico del white cube, sostituito in questo caso da uno spazio fortemente connotato e incommercializzabile.
“Arte urbana” che prende vita dal basso in modo concreto, valido e autentico, fuori dai circuiti ufficiali, dal mercato e dalle sue logiche, ma non fuori dal mondo e dalla sua storia. Il messaggio è compiuto ora sta ad ogniuno di noi, raccoglierne il senso.
Sara Cucchiarini
InContext | conversione di residui urbani
Via Libia 72 d,e,f Bologna