Biennale Teatro 2016 assegna a Babilonia Teatri con il Leone d’Argento, un premio che riconosce l’importanza dell’impegno sociale in un teatro che diventa strumento d’inclusione.
L’intervista di Simone Azzoni
Biennale Teatro 2016 – 44. Festival Internazionale del Teatro: il Leone d’oro alla carriera per il Teatro va al regista inglese Declan Donnellan “Per la sua profonda fiducia nel testo. Per la sua capacità di avvicinare i testi classici al pubblico contemporaneo conservando intatta la capacità di lettura”. Il Leone d’Argento invece alla compagnia teatrale Babilonia Teatri: dopo Rimini Protokoll (2011), Angélica Liddell (2013), Fabrice Murgia (2014), Agrupación Señor Serrano (2015) tocca a Enrico Castellani e Valeria Raimondi, drammaturghi, autori, registi e attori, ritirare il prestigioso riconoscimento a Ca’ Giustinian il 29 luglio.“Non ce lo aspettavamo assolutamente, è arrivato all’improvviso”, ci dice raggiunto al telefono l’attore veronese.
Il direttore della Biennale, Àlex Rigola, ha parlato, nella motivazione del premio, di teatro necessario “(…) che ha sensibilità verso i più svantaggiati, nel trattare tematiche complesse senza abusare dei drammi reali degli interpreti. Un teatro che è strumento di inclusione sociale. Il Leone premia la volontà di fare un teatro che si occupa delle persone prima che di se stesso. E questa è la cosa più importante e la volontà di fare un teatro che non sia riconducibile ad uno schema ma abbia voglia di incontrare tutte le persone, trasversalmente, con pubblici diversi”.
Abbiamo scritto più volte dei loro spettacoli e della sperimentazione che caratterizza il linguaggio di Babilonia Teatri. Ora vi proponiamo una breve intervista a per entrare ancora più nel merito del loro lavoro. A rispondere per la compagnia è Enrico Castellani:
Il premio parla di umanità. Teatro terapeutico. Armando Punzo, Pittito, Del Bono, Castellucci. Il teatro ospita la diversità. Come evitare la strumentalizzazione del dolore e del disagio?
Noi cerchiamo di dare dignità a persone che spesso vivono ai margini o sono esistenze sommerse. Il rispetto e la dignità sta nella relazione che tu crei con queste persone e nel creare con loro la condivisione. Ognuno può lavorare come sente più consono alla sua sensibilità e alla sua estetica. È interessante lavorare con persone senza necessariamente essere “con”. Le categorizzazioni sono limitanti, piuttosto è interessante incontrare persone diverse ma trattarle e considerarle come attori veri e propri. È la dinamica che è speciale.
Quanto tempo è realmente passato dal vostro Panopticon Frankenstein di dieci anni fa?
Là era una scoperta. La prima volta. Scoprivamo un linguaggio parlando di questioni brucianti per la società, come facciamo oggi, ma con una consapevolezza diversa: ora c’è la necessità di utilizzare tutti gli stili che abbiamo individuato e adoperato in questi anni.
David è morto sembra introdurre la necessità di una compagnia, di una regia come coordinamento e comunque di un vostro ruolo esterno al palco.
Sì, lì c’è la necessità di confrontarsi con il lavoro dell’attore. Creare un gruppo è parte di un orizzonte che abbiamo davanti.
Siete nati dalle macerie di certa seriosità emiliano-romagnola. Generazione zero al pari di molte compagnie anche venete (Anagoor). Come sopravvivere ora all’iper-produzione e iper-visibilità bulimica?
La sopravvivenza è un problema sempre, noi abbiamo deciso di non lavorare in relazione a questo, ma continuare a fare ciò di cui abbiamo la necessità di fare.
Il vostro è un teatro del disagio e della rivolta nell’impotenza e nell’amarezza che ne deriva, nella percezione lucida della propria alterità. Come mantenere questa tensione formale?
Non accettiamo una logica produttiva in cui si crea a tavolino decidendo a priori in quanti e dove andare in scena. Decidiamo di fare dei progetti che stanno fuori dal mercato e siano sempre delle sfide. Qualcosa che parli, che dica qualcosa, che riesca a mettere in moto un pensiero alla fine “paga”. Anche per questo noi non abbiamo fatto domanda al Ministero.
Raccontate l’insostenibile normalità del reale rendendola paradossale. Il linguaggio si evolve o rimane punk-pop?
Sarà quello che succederà a dirlo, stiamo facendo percorsi paralleli tra loro. Inferno è molto lontano da Jesus ad esempio. Ci sono contatti tra i generi ma non c’è un disegno univoco.
Cosa avete imparato del sistema-teatro in questi dieci anni?
Sento che tante volte la burocrazia ha un peso importante. Sento che il sistema teatro è autoreferenziale, sono cerchi concentrici a tenuta stagna, il pubblico non si sposta dall’uno all’altro e tutto questo rende faticoso lavorare. Dall’altra parte continuo a vedere che chi fa lavori e spettacoli diversi, che hanno un valore, alla fine trova il suo posto.
Meglio un teatro-vetrina, una buona critica o un premio per decollare?
Per noi tutto è iniziato con il Premio Scenario. Far vedere il Made in Italy a molti operatori teatrali ci ha fatto conoscere e girare. È chiaro tutti i riconoscimenti fanno bene al lavoro, fanno parlare di sé e creano occasioni.
La critica teatrale lavora per consorterie, scuderie, circuiti rigidi e discepolati. Voi cosa andate a vedere a teatro?
Andiamo a vedere un po’ tutto, di recente ho visto ho visto Joseph di Alessandro Sciarroni, torvandolo geniale per la sua semplicità: creare con il nulla uno spettacolo che fotografa il nostro tempo.
Da chi avete imparato di più?
I primi lavori di Pippo del Bono, sono molto importanti e poi Rodrigo Garcia
Intervista a cura di Simone Azzoni
Prossime date di Babilonia Teatri:
30 giugno, Inferno di Babilonia Teatri e ZeroFavole, Festival La Fabbrica delle Idee, Racconigi (Cn)
5 e 6 luglio, David è morto, Napoli Teatro Festival, Napoli
11 agosto, Pinocchio di Babilonia Teatri e Gli amici di Luca, La Biennale Teatro, Venezia
14 agosto, presentazione di Purgatorio di Babilonia Teatri e ZeroFavole, progetto di residenza alla Biennale di Venezia
14-16 ottobre, David è morto, Teatro delle Passioni e Vie Festival, Modena