Nomas non solo come nomade, mobile, flessibile, indipendente, ma anche come Nomas Foundation, innovativa e indipendente fondazione romana, con una fitta programmazione articolata tra mostre, eventi e attività sperimentali. Unico obiettivo: promuovere la giovane arte contemporanea, soprattutto in un’epoca in cui, come sottolinea anche Bice Curiger, curatrice della 54 Biennale di Venezia, “gli artisti hanno un’identità poliedrica e sono diventati migranti consapevoli e turisti della cultura”.
Alternando l’indagine del panorama romano tra istituzioni pubbliche e fondazioni private, abbiamo scoperto e visitato questa Fondazione, indirizzando la nostra attenzione anche sui rapporti, consolidati o “in itinere”, tra la Nomas Foundation e i musei di arte contemporanea di Roma, come il MACRO (Museo d’Arte Contemporanea Roma) e il MAXXI (Museo delle Arti del XXI secolo).
Nomas è giovane e agguerrita, come tutto il suo staff. Nasce infatti a Roma nel 2008, in una congiuntura storica non molto favorevole all’arte contemporanea della Capitale: come non ricordare la chiusura del MACRO e l’interminabile gestazione del MAXXI di Zaha Hadid?
Nonostante la giovane età, Nomas ha le idee chiare sul futuro, come ci confida una delle due giovani curatrici intervistate, Ilaria Gianni, che con Cecilia Canziani cura la direzione artistica della Fondazione. Alla base di Nomas c’è la volontà di promuovere gli artisti emergenti e guidarli nella costruzione di un progetto espositivo che rappresenti un momento di svolta nella loro ricerca: sono privilegiati i giovani che non hanno mai avuto la possibilità di esporre a Roma. Una scelta coraggiosa al di fuori dei facili e più consolidati schematismi: Nomas è nomade, anche perché accoglie e valorizza la diversità.
Anche la location è atipica: non un edificio in una delle nevralgiche art-street del centro storico capitolino, ma la scelta “povera” e minimalista di un ex garage, elegantemente ristrutturato.
La prima e superficiale impressione, se non si avesse la consapevolezza di varcare la soglia della Fondazione, sarebbe quella di un anonimo e neutrale involucro. La visione interna rivela invece, fin da subito, la suggestione di uno spazio espositivo dove nulla è lasciato al caso e dove il materiale esalta e valorizza l’architettura.
Chiediamo a Ilaria Gianni come dialoga la Fondazione Nomas con le altre collezioni pubbliche di Roma. Ci sarà spazio nel panorama romano dominato dai pianeti MAXXI e MACRO anche per queste realtà satellite, finanziate interamente da privati? Possono esistere progetti condivisi tra pubblico e privato, oppure i musei delle archistar vivono isolati nelle loro torri d’avorio, senza un fecondo interscambio con il territorio e le altre fondazioni che promuovono e sostengono l’arte contemporanea a Roma? Già nel 2009, quando il MAXXI non aveva ancora visto la luce, Nomas aveva dialogato, anche se a distanza, con il MACRO, condividendo non solo progetti, ma anche semplicemente spazi museali. Era nata così The complete works, la prima mostra delle artiste danesi Nina Beier e Marie Lund in Italia, presentata dalla “Nomas Foundation” in un programma espositivo articolato in tre sedi differenti: dalla stessa Fondazione, al Caffè Greco e al MACRO, le cui sale erano completamente “attraversate” dalle installazioni, in un gioco ambiguo e suggestivo tra concezione, percezione e interpretazione.
Recente e ancora “in progress”, è il progetto AIR, di cui diamo notizia in anteprima. Questa volta, è stato il MAXXI a coinvolgere Nomas Foundation.
AIR è l’acronimo di “Art in Rome”: hanno aderito il MAXXI e il MACRO e le cinque fondazioni no profit della Capitale, Nomas Foundation, la Fondazione Volume, la Fondazione Giuliani, il Pastificio Cerere, la Depart Foundation. L’obiettivo immediato è la promozione dell’immagine di Roma contemporanea attraverso la partecipazione alle medesime campagne pubblicitarie e di comunicazione, a livello nazionale e internazionale. Un primo passo importante non solo perchè testimonia l’attenzione che i musei dimostrano nei confronti delle iniziative artistiche del territorio cittadino, in un legame sempre più stretto tra le istituzioni e le altre realtà che a Roma promuovono la ricerca contemporanea, ma anche perché in futuro AIR potrebbe prevedere l’ideazione e la condivisione di ulteriori, nuove iniziative.
Ci auguriamo infatti che sia solo l’inizio di un lungo e fecondo percorso: il museo in fondo chiede solo di essere vissuto, oltre gli spazi, oltre il tempo, oltre i confini di inutili e restrittive barriere, non solo fisiche ma anche ideologiche.
Isabella de Stefano
D’ARS year 51/nr 206/summer 2011