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Ibridi di arte e scienza da Carsten Höller a Koen Vanmechelen

La ricerca artistica affianca e incrocia voracemente quella scientifica e le migrazioni dei protagonisti dall’uno all’altro settore creano prodotti ibridi che le sedi d’arte accolgono per il loro pubblico con sempre maggior frequenza. Come me, si saranno sicuramente stupiti gli spettatori che ad inizio gennaio hanno visitato l’Hamburger Bahnhof di Berlino: secondo una ordinata composizione, boccette, cavie, frigoriferi e cartelle di dati scientifici erano disposti lungo i lati del recinto centrale riservato a dodici renne. Con questo allestimento l’entomologo belga Carsten Höller ha presentato al pubblico Soma, l’esperimento che ha condotto alla ricerca della formula chimica dell’omonima e mitica pozione vedica dal potere allucinogeno; le fasi dell’esperimento sono state destrutturate e disposte in maniera a-gerarchica creando un percorso nelle maglie di un ragionamento di difficile godimento. Questione morale e critica animalista non saranno sollevate: quello che vorrei mettere in discussione è la dimensione estetica di mostre simili a quella di Höller in cui, prima di quelli artistici, sono i dispostivi scientifici ad essere attivatori di nuove pratiche fruitive (oltre ad esserlo di quelle creative) dell’arte. Di fronte ad un lavoro come Soma devo abbandonare qualsiasi codice estetico tradizionalmente conosciuto e non solo perché iconologia e iconografia classiche sfuggono lo spazio di analisi, ma perché la stessa dimensione concettuale supera l’autoreferenzialità su cui aveva fatto giocoforza in epoca precedente per aprire ad un’operatività artistica originale ed eterofila.

Kvm02-LOR03, Nato a Venezia, 54th biennial of Venice, 2011, © Koen Vanmechelen
Kvm02-LOR03, Nato a Venezia, 54th biennial of Venice, 2011, © Koen Vanmechelen

Nei giorni del vernissage della 54ma Biennale di Venezia ho visitato “Nato a Venezia” di Koen Vanmechelen evento collaterale ospitato dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti: non un museo, ma un luogo del sapere tecnico-scientifico. Come il connazionale Höller, Koen Vanmechelen ha abbracciato un’arte che lambisce la scienza, in questo caso genetica, e propone una struttura dell’opera definita dal suo essere “tentativo”, “prova”: il progetto è CCP – Cosmopolitan Chicken Project, un esperimento iniziato a fine anni Novanta basato sull’ibridazione genetica di polli. Affiancato da scienziati e appoggiato dai dipartimenti di antropologia e medicina di diverse università, Koen incrocia specie di polli alimentando la varietà della natura volatile con l’intento di riflettere, per metafora, sui benefici che ne trarrebbe quella umana se credesse nella sua eterofilia. Come dice il titolo della mostra, il pollo di ultima generazione è quello “nato a Venezia”: l’artista ha predisposto il suo laboratorio sull’isola di Murano un mese prima dell’inaugurazione della mostra e da quel momento ha assistito i genitori fino alla nascita. Alla dimensione biologica non è trascurata quella artistica, di cui si compone l’esposizione e che conferisce carattere ibrido all’intero lavoro – ibrido è il pollo neonato, ibrida è la mostra: entro nell’atrio del quattrocentesco Palazzo Loredan e scopro, in mezzo a quello di illustri scienziati, il busto di un pollo modellato sul futuribile aspetto di quello appena nato; al primo piano, tra gli scaffali della prestigiosa biblioteca, le assistenti di Koen mi guidano alla scoperta degli strumenti del progetto CCP mostrandomi le incubatrici dei pulcini veneziani che, rimasti nell’isola di Murano, osservo in diretta video tramite lo schermo di un pc, mentre in una stanza riservata della biblioteca è proiettata in streaming l’immagine dei genitori dei neonati. Ad un’osservazione passiva dell’esposizione è richiesta in ultima battuta una partecipazione attiva, che rende l’esperimento un work in progress mai circoscritto in se stesso: attraverso un questionario, le ricercatrici del dipartimento di antropologia mi chiedono di rispondere a domande sul concetto di identità e di impatto dell’arte nei comportamenti sociali, mentre le assistenti di medicina misurano la simmetria del mio volto; i dati raccolti sui visitatori fanno parte integrante del CPP. Koen si definisce artista e non scienziato; il suo obiettivo è quello di riflettere e – soprattutto – far riflettere sulla diversità e sulla necessità di aprirsi alla varietà a partire da ciò che la zoologia offre, perché “lungi dal brillare di luce propria, la cultura umana rappresenta in realtà il più grande debito che l’uomo ha contratto con gli altri animali”  e quindi osservare il comportamento di questi può ancora fornire insegnamenti importanti se non necessari alla nostra sfera biologica.

Le parole di Roberto Marchesini, fondatore della zooantropologia, denunciano la necessità di riconoscere l’elemento zoologico fondativo dell’identità culturale che l’uomo ha costruito nei secoli; l’assunzione di una superiorità intellettiva ha sviluppato in maniera spropositata la parte encefalica a scapito dell’equilibrato rapporto che la legava a quella biologica. L’elemento alienus dovrebbe essere riaccettato nella definizione ontologica dell’uomo per correttezza intellettuale, ma anche per una migliore comprensione delle attuali conquiste bio-tecnologiche. Nel lavoro di Koen gli obiettivi della ricerca antropologica e genetica, manifesti grazie alle spiegazioni, nascondono una riscoperta esperienziale del mondo natura che oggigiorno si sta rivalutando. Come per Soma, anche il CPP è sorretto da una necessaria azione riflessiva dello spettatore che deve raccogliere i dati frammentati lungo il percorso espositivo e li deve rielaborare in una compiuta riflessione di cui gli è chiesto il resoconto. L’arte sta operando un nuovo confronto con la sfera bio che non è più per mimesi e rappresentazione, ma è dal vero: un modo per risvegliare la coscienza sul debito di natura che tanta filosofia platonica ha voluto opprimere?

Elena Cappelletti

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