Il grande evento che il museo newyorkese dedica ogni anno alla moda per il 2018 con Heavenly Bodies affronta il rapporto tra l’immaginario cattolico e la creatività degli stilisti. Un’occasione per riflettere sui molti aspetti di questa relazione fra sacro e profano
Il Metropolitan Museum di New York ogni anno dedica una grande mostra alla moda e quest’anno il tema scelto con la mostra Heavenly Bodies: Fashion and the CatholicImagination tocca un aspetto fondante della cultura occidentale, ovvero il cattolicesimo e l’influenza della sua iconografia sul design di moda.
Heavenly Bodies – curata come sempre dal direttore del Costume Institute, Andrew Bolton, e visibile dal 10/5 all’8/10 2018 – offre al pubblico un’amplissima selezione. La mostra è ospitata da ben 25 gallerie oltre che dal Costume Institute stesso, e comprende opere di arte sacra provenienti da chiostri medievali europei, mosaici della basilica di San Vitale a Ravenna e, soprattutto, 150 fra capi provenienti dalle più famose maison europee e dalla Sacrestia della Cappella Sistina, per la maggior parte finora mai usciti dal Vaticano.
La genesi di questa mostra-monster (per dimensioni, ambizioni e speranza di grandi incassi per un Metropolitan che sempre più usa la moda come blockbuster) è stata lunghissima: fortemente voluta da Bolton, che ha cominciato a immaginarla almeno una decina di anni fa, ha richiesto due anni di trattative e molti viaggi in Vaticano, fino a raggiungere la piena collaborazione dell’arcivescovo Georg Gänswein e del Cardinale Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.
C’è un precedente per il Met ed è la mostra The Vatican Collections del 1983, che è a tutt’oggi la terza esposizione più visitata del museo e che raggruppava più di 200 opere d’arte prese in prestito dai Musei Vaticani.
Ma per Bolton l’ispirazione è arrivata dal rendersi conto di quanto l’immaginario cattolico abbia influenzato i più grandi creatori di moda, passati e contemporanei; Balenciaga, Saint Laurent, Schiaparelli e i più recenti Galliano, McQueen, Gaultier, Lacroix, Dolce e Gabbana, Versace e infiniti altri hanno trasferito simboli religiosi e citazioni dell’arte sacra in centinaia di abiti suggestivi e provocatori, pop o delicatamente trascendentali.
Per contro l’abbigliamento è fondamentale per la stessa Chiesa Cattolica, che nel corso della storia ha usato le vesti per affermare alleanze o differenze religiose, e distinguere gerarchie e genere.
L’uomo è ciò che mangia, potremmo anche dire che l’uomo è ciò che veste: in questa citazione modificata del filosofo tedesco Feuerbach, usata dal Cardinale Ravasi per presentare la mostra alla stampa, è riassunta la relazione fra l’abito mondano – che ha lo scopo di proteggere e coprire il corpo, e riconduce ad una dimensione fisica – e l’abito liturgico, che rimane invece sempre nello spazio del trascendente.
Alimentata da storie e rappresentazioni, l’iconografia cattolica, come la moda, opera a livello narrativo ed esprime i propri racconti attraverso una successione di creazioni in legno, pietra, oro, avorio e smalto che dialogano con le loro controparti “alla moda” (in seta, pizzo, raso e organza) e stabiliscono delle consonanze evidenti.
Si tratta di consonanze talmente palesi, di estetiche e di linguaggio, da avere ispirato creativi di tutti i tipi, a partire da Federico Fellini, che nel film Roma del 1972 mise in scena una surreale sfilata di moda sacra. La visione di Fellini sugli eccessi sfarzosi di un certo cattolicesimo – citata anche da Bolton nella press release – è quasi preveggente rispetto ai coloratissimi eventi mondani che accompagnano da anni l’inaugurazione della mostra del Costume Institute.
I vescovi psichedelici del film raffigurano la ricchezza degli abbellimenti di origine bizantina e rivaleggiano con gli abiti delle celebrities, mentre la sobrietà di molti abiti talari, oltre a essere particolarmente efficace per ilvirtuosismo sartoriale, agisce anche a livello di seduzione più o meno esplicita.
Ci sono diversi paralleli tra una sfilata di moda e una processione in chiesa,- scrive Bolton – Entrambe seguono una disposizione ordinata e regolata; entrambe coinvolgono partecipanti attivi e passivi; ed entrambe sono accompagnate dalla musica.
I costumi della feroce passerella di Fellini – irreali, esagerati e realizzati con l’aiuto della storica sartoria Tirelli – sono presentati nella sfilata ideata dalla “principessa Domitilla” per resuscitare un’epoca in cui l’aristocrazia e la Chiesa erano affini e potenti, e questo pone l’accento su un altro punto di condivisione fra cattolicesimo e moda, quello cioè della simbologia del potere: l’abito fa il monaco o per lo meno spesso ci va molto vicino.
La chiesa è (anche) una macchina mediatica che per millenni ha utilizzato statue, dipinti, oggetti rituali di fattura mirabile e tessuti sontuosi come strumenti del proprio potere. Una manifestazione di fasto che è strategia comunicativa e definisce un’estetica del potere all’interno della quale un abito è molto più di un semplice tessuto modellato.
Anche la moda ha un rapporto molto stretto con il potere, è evidente a vari livelli, dalla pura e semplice esibizione e comunicazione di status sociale o di ruolo, a discorsi più complessi sulla rappresentazione di sé, che, soprattutto nel mondo femminile, diventa anche autodeterminazione: in tempi di #metoo la moda e la discussione sulle differenze fra “powerdressing” (lo stile delle donne di potere in ambienti tradizionalmente maschili) e “empowerment style” (tendente a regalare un plus di sicurezza in sé a chi lo veste) sono diventate centrali non solo per gli addetti ai lavori.
Come per il film di Fellini, in un video tutto interno al fashion system si trova invece un’anticipazione dei temi più spirituali toccati dalla mostra Heavenly Bodies ed è la clip di presentazione di GarethPugh, designer inglese che spesso sostituisce il video alle più tradizionali sfilate.
Realizzato nel 2011 per Pitti Immagine, il cortometraggio è ispirato alla tradizione di arte e decorazione di Firenze e arricchito dalle tonalità sature del blu e oro dell’iconografia cattolica, colori sui quali è incentrata la collezione. Un mood board di collezione tradotto in un film che è di per sé sia ispirato che ispiratore e che, prendendo come punto di partenza il soffitto della chiesa di Orsanmichele, fonde lo storico e la visione futuristica del designer nella rappresentazione di un momento creativo tanto effimero (come è la moda) che metaforico.
Nel suo libro The Catholic Imagination, il sociologo e columnist del New York Times, padre Andrew Greeley, afferma:
L’immaginazione cattolica in tutte le sue molteplici manifestazioni … tende ad enfatizzare la natura metaforica della creazione… Tutto nella creazione, dal cosmo che esplode al ballo vorticoso delle misteriose particelle quantiche, svela qualcosa su Dio e, così facendo, porta Dio in mezzo a noi.
La poetica della metafora, attraverso i retaggi culturali dei designer allevati nella tradizione cattolica – seppur ora lontani da essa – si insinua fra le pieghe reali delle creazioni di Alta moda, nelle quali la ricerca della perfezione assoluta si persegue anche (fuori metafora) con la maestria e la ricercatezza sartoriali.
Claudia Vanti