Gender Agendas è il titolo della mostra retrospettiva dedicata a Suzanne Lacy (dal 14 novembre 2014 al 6 gennaio 2015) al Museo Pecci Milano, a cura del nuovo direttore Fabio Cavallucci e in collaborazione con Megan Steinman. Per la prima volta in Italia e in Europa è possibile vedere un gran numero di opere della ricca carriera di Lacy, che spaziano da riflessioni sul corpo a performance pubbliche su larga scala.
Il percorso parte dalle prime opere dell’artista, in cui al centro della riflessione c’è il corpo come carne. L’artista si pone al centro come soggetto incarnato in relazione a parti del corpo di altri animali, ironizzando e cercando di sottolineare il significato attribuito al corpo in ogni sua parte. Nelle produzioni successive il corpo rimane presente come corpo sessuato. Negli anni ’70 l’artista entra in stretto contatto con il movimento femminista, mescolando l’arte performativa con l’impegno politico.
In Mourning and In Rage (1977) è una performance di Suzanne Lacy e Leslie Labowitz Starus che nasceva come critica all’immaginario creato dai media e dai giornalisti a Los Angeles in quel periodo, intorno agli omicidi di dieci donne ad opera di un serial killer. La crescente morbosità sulla vita delle donne assassinate e le considerazioni morali sul loro comportamento ha portato le attiviste a progettare un’azione che non solo esprimesse solidarietà alle vittime, ma che riuscisse anche a far parlare della violenza maschile sulle donne in un periodo in cui la denuncia degli abusi poneva le donne sotto accusa oltre che in una condizione di svantaggio e pericolo. Lacy e Labowitz, insieme ad altre dieci attiviste, si presentarono davanti al municipio della città coperte dalla testa ai piedi con tuniche nere, ciascuna a denunciare tutti i tipi di violenza sulle donne, oltre all’omicidio.
L’intenzione di fare emergere i racconti e le esperienze del vissuto delle donne è un filone che accompagna tutta la produzione artistica di Lazy. Anche nella performance Three Weeks in May, realizzata per la prima volta nel 1977 nello shopping center del municipio di Los Angeles e riproposta al Museo Pecci di Milano dal 12 al 14 novembre, Lacy cerca di rendere visibile il fenomeno della violenza sessuale sulle donne tenuto taciuto. Per tre settimane l’artista raccolse dalla polizia informazioni sugli stupri e suoi luoghi in cui erano stati compiuti, segnalandoli con un timbro rosso Rape (stupro) sulla mappa della città. Ad ogni timbro, corrispondente a uno stupro denunciato, l’artista associò nove timbri più lievi a indicare gli stupri non denunciati. Giorno dopo giorno la mappa si tinse rapidamente di rosso, formando un’inedita geografia della violenza sessuale sulle donne da parte degli uomini.
L’esperienza con il movimento femminista, oltre che il contatto diretto con gli artisti del tempo e l’arte allora emergente, porta Lazy a sviluppare sempre di più l’esigenza di porre al centro della sua produzione artistica una narrazione differente che parta dal vissuto delle singole e dei singoli, una pratica che per l’artista ha una forte valenza politica. In molte delle opere in mostra, questi racconti costituiscono l’elemento fondamentale da cui partono le performance. È il caso di Prostitution Notes (1974), in cui vengono riportati gli appunti delle sue indagini sulle prostitute e sul loro sfruttamento in alcune aree di Los Angeles, basate su interviste nei bar e nei locali da loro frequentati.
Oppure della più celebre The Crystal Quilt (1985-1987) che si svolse nella hall di un centro commerciale a Minneapolis, in cui 460 donne di età superiore ai sessant’anni, sedute ai tavoli disposti secondo il disegno di una grande tovaglia realizzata da Miriam Shapiro, discutevano tra loro confrontando le proprie esperienze e i propri ricordi con analisi sociologiche. Non più come oggetto di ricerche ma come soggetti attivi che narravano la propria esperienza. Il tema della violenza maschile sulle donne ritorna in Tattooed Skeleton (2010), un progetto sviluppato in Spagna nell’arco di un anno, partito utilizzando maschere bianche per simbolizzare l’invisibilità della violenza domestica sulle donne. Su ogni maschera è stata poi trascritta la storia di donne che hanno raccontato la propria esperienza. In mostra si possono vedere le maschere utilizzate ma anche le interviste fatte dall’artista e la documentazione della manifestazione pubblica tenuta da attiviste del luogo che l’artista ritiene essere una parte importante dell’opera. Molti altri sono i lavori in mostra che propongono questa commistione tra gesti simbolici, come la scrittura di una storia o il movimento delle mani su di un tavolo, e i momenti pubblici con la partecipazione di molte persone ma che pongono al centro il dialogo spontaneo tra soggetti.
A Milano la performance Three Weeks in May sarà replicata, dopo la preview per la stampa, all’opening della mostra (oggi, giovedì 13 novembre, ore 19) e in occasione della discussione sulla violenza sulle donne organizzata in collaborazione con NABA, (venerdì 14 novembre, ore 11). In questa occasione l’artista propone non una semplice rievocazione della performance del 1977, ma un’occasione per avviare proprio quel dialogo con l’altra o l’altro che è alla base della ricerca della libertà personale.
Loretta Borrelli
SUZANNE LACY. Gender Agendas
14 novembre 2014 – 6 gennaio 2015
MUSEO PECCI MILANO, Ripa di Porta Ticinese 113 Milano
Da martedì a domenica dalle ore 12.00 alle ore 19.00.
Ingresso gratuito