Fratto_ X, ci aveva detto Antonio Rezza, non è teatro ma un incontro di performance, di scultura. Nello spazio, aggiungiamo noi, dopo aver rivisto lo spettacolo al Camploy di Verona – teatro decisamente ampio e capiente abbastanza per contenere la fortuna del duo Rezza-Mastrella che nel frattempo si è fatto conoscere anche in Veneto.
Spazio e ritmo, per questo gli spettatori hanno la sensazione di non capire, nonostante si rida: anche in assenza dell’attore che per dieci minuti urla dai bagni del camerino dopo esser apparso su un trono mobile. Perché Rezza dirige il pubblico, lo illumina per creare storie, lo usa e lo muove, ne direziona aggressivamente lo sguardo obbligandolo a guardare cosa e chi.
Questione di ritmo, che è soprattutto energia, quella di un corpo elettrico, come avrebbe voluto Artaud e saltellante da un’immagine e l’altra. Flash velocissimi, anche per il pensiero immaginifico, quello che associa simboli a ciò che si materializza sul palco. Tutto al centro, e al centro del centro perché il palco è luogo performativo costruito per incastro di quinte mobili e di teli. I teli di Flavia Mastrella disegnano una grande ics. Teli sensibili alla luce come un’opera di Enrico Castellani, producono volume, tridimensionalità con estroflessioni come quelle dell’artista eremita. Bozzoli abitabili come costumi che lasciano scie luminose. C’è Lucio Fontana in quei tagli da cui non spunta l’infinito ma la carne umana di Rezza. Una carneficina in realtà. Carne parlante per muscoli, sudore e nudità. Sotto i teli scorre l’umano, sopra i teli l’umano arranca, cerca, domanda. Rezza sbuca da bende lattiginose, boccheggia la vita non ancora distesa. Il suo corpo si allunga nelle figure di Rita da Cascia: corpo fluido come le forme di Dalì, che diventa luce e colore.
Anche la parola diventa energia, glossalia prima (sempre alla Artaud), potere di manovrare il corpo del compagno di scena. Spezzoni di frasi con cui Rezza si sdoppia nelle sue ossessioni. Storielle come paradossi, perché altrimenti sarebbe troppo facile capire il solito “teatro d’impegno”. Invece Rezza mescola i registri e le storielle: cavalli da sodomizzare, polli con peperoni, polizia che mena, madri ansiose e una serie Tv sui fratelli Karamazov. Sotto scorrono le sue idiosincrasie di sempre: il potere, la demenza collettiva, le contraddizioni e gli stereotipi dei nostri gesti. Perché anche il rumore di una trombetta può essere violenza. Rezza uscito paracadutato su quella ics da un altrove, ci dice che la forma copre la demenza altrimenti insostenibile, vibra con i teli le ansie del nostro tempo, si muove con le macchine inutili di Calder, e parla a sculture simili alle statue candide di Melotti. Si dissocia da se stesso chiedendosi forse cosa ne è dell’attore. Già perché la schizofrenia tra Rocco e Rita è la fine del personaggio e poi del teatro. Minotauro di tessuto, avvolto come un’opera di Christo, Lazzaro che crede nella resurrezione della ragione ma non in quella dell’umanità, costretta sotto il fratto del titolo. Sotto e sopra si boccheggia, il bozzolo della speranza non si schiude allo schiudersi dei teli.
I suoi vocalizzi faticosissimi sono la voce di un corpo portato allo stremo, portato al limite. Corpi separati dalla parola, voci che rimandano ad un altrove astratto. Sulla scena rimane quella croce su cui sono sballottate l’inutilità di parlare e di esserci. Teli come sindoni che mandano in cortocircuito la Bibbia ridotta a storia di Barbapapà e preghiere come onomatopee ad un Dio “autodidatta”. Teli, tracce di assenza perché in fondo, quel che resta è la spensieratezza.
Simone Azzoni
Fratto_X
di Antonio Rezza e Flavia Mastrella
Teatro Camploy – Verona nel cartellone Are we Human
repliche: dal 22 al 24 gennaio 2014
Torino Teatro Astra – www.fondazionetpe.it