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Fotografia di moda. Variazioni sul tema

Ci sta salutando e non ce ne siamo accorti. Mentre è ancora in atto il tentativo di imbrigliare il Postmoderno e tracciarne un profilo chiaro, il Victoria and Albert Museum di Londra decreta la sua fine. E lo fa con un ampio progetto espositivo, Postmodernism: style and subversion 1970-1990 che, oltre a fare il punto della situazione, mette un punto all’idea dominante del nostro tempo. Un’idea che, sfuggendo a regole e definizioni, ha archiviato ogni certezza modernista e riformulato i campi del sapere: architettura, musica, letteratura, arte, moda.

Alessio Bolzoni per nowness.com
Alessio Bolzoni per nowness.com

Quest’ultima, in particolare, rovescia i propri codici, espressione incerta dell’identità postmoderna. Quella indossata, stampata e fotografata, legata ai sensi e alla superficie ma anche territorio di agitazioni culturali. È la fotografia di moda, genere ibrido e intertestuale, a giocare un ruolo determinante nella creazione di visioni condivise. Come scrive Natalia Aspesi “I fotografi diventano a un certo punto più importanti dello stilista […]. Sono loro a ricreare la moda, a fare di qualcosa di ormai omologato, generalizzato, difficilmente nuovo, un oggetto di desiderio”.

Fino agli anni Sessanta il confine tra chi sceglie una compostezza formale e chi persegue una fotografia comportamentista è ben delineato. Le immagini di Cecil Beaton corrono in direzione opposta rispetto a quelle di Martin Munkacsi; allo stesso modo gli scatti di Irving Penn sembrano distanti anni luce dalle fotografie di Richard Avedon e David Bailey. Percorsi contrapposti – Op e Pop come li etichetta Claudio Marra ne Le ombre di un sogno – tanto analitico e rigoroso il primo quanto avanguardista e disordinato il secondo. Ad un tratto, però, le strade convergono attraverso lo sguardo di autori che concorrono a modificare radicalmente il sistema della moda: Helmut Newton indaga il concetto di gender, Deborah Turbeville sonda l’incomunicabilità e la solitudine diffusa, Guy Bourdin gioca con il cinema, Ferdinando Scianna recupera l’intensità del reportage, Oliviero Toscani usa la moda per spingere lo sguardo oltre la barricata. L’unica regola diventa la completa assenza di regole.

Si dissolvono i confini fra arte contemporanea e fotografia di moda e le possibilità si moltiplicano. Caso emblematico è David Lachapelle, corteggiato da direttori di riviste patinate, pubblicitari, galleristi, collezionisti e stelle holliwoodiane. Nessuno meglio di lui incarna il Postmoderno, colorato e teatrale oltre misura. La sua ricerca coniuga ordine formale e disordine narrativo e mescola storia dell’arte classica, cultura pop e riferimenti colti.

Accanto a Lachapelle si affermano – in particolare tra le pagine di i-D e The Face – fotografi che rinunciano completamente alla forma. La vita entra dentro la fotografia di moda come un fiume in piena e autori come Jurgen Teller e Terry Richardson spostano l’attenzione sul quotidiano e sulla sfera personale annullando ogni principio estetico. Le loro immagini sono imperfette, talvolta sfocate, e sembrano rubate da un album privato. L’obiettivo scruta l’intimità dei soggetti ritratti e l’abito, inutile dirlo, scompare. L’influenza di Richardson – a sua volta ispirato da Larry Clarck e Nan Goldin – è dirompente e monopolizza il sistema a cavallo fra i due secoli. L’uso di una macchina automatica, la scelta di non ritoccare e, anzi, enfatizzare errori e irregolarità si trasformano in dictat di una generazione di autori inquieti che, nella ricerca di un immaginario alternativo ad ogni costo, finiscono con l’apparire tutti uguali.

Carlotta Manaigo, Untitled (gotico)
Carlotta Manaigo, Untitled (gotico)

Ma oggi la fotografia di moda è al giro di boa e si riappropria di una dimensione onirica, riproponendo immaginari nei quali credere e identificarsi. Per comprenderlo basta fermarsi ad osservare le fotografie di Carlotta Manaigo, monologhi carichi di mistero dove il soggetto ritratto, pur mostrandosi in pose plastiche, sintetizza le paure dell’uomo contemporaneo. O la fragilità delle istantanee di Ryan McGinley in cui il corpo – nudo, giovane, modificato – ritorna ad essere il punctum della fotografia di moda. O, ancora, il rigore delle immagini di Alessio Bolzoni e del duo Van Mossevelde+N, orientati verso la costruzione di una bellezza senza tempo.

Gli scatti di questo gruppo di autori abitano le pagine di riviste non patinate, indipendenti, capaci di trasmettere sensazioni fisiche. Pubblicazioni simili ad oggetti da collezione come Grey, semestrale teso a materializzare sogni e visioni, o più dinamiche, come Hunter che si pone un obiettivo complesso: esprimere l’urgenza di ciò che definisce l’oggi.

Concentrarsi sul presente, questa è la sfida. In direzione di tre idee che, secondo Edward Docx, disegneranno il futuro prossimo: specificità, valori e autenticità.

 

Saul Marcadent

D’ARS year 51/nr 208/winter 2011

 

 

 

 

 

 

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