La Fondazione Merz di Torino dedica all’artista francese Christian Boltanski (Parigi, 1944) una personale curata da Claudia Gioia, Christian Boltanski. Dopo. Come emerge dal titolo, si tratta di una riflessione sul senso del tempo, sulla durata della nostra vita, sulle modalità di relazione con il passato e i cambiamenti. È un discorso sull’assenza e – di conseguenza – sul valore della memoria personale e collettiva.
Boltanski cristallizza la Storia, anzi le Storie: al centro della sua poetica non vi è la grande Storia ma quella dei singoli individui. Le sue opere sono reliquie di esistenze, spesso in bilico tra realtà e immaginazione (come dimostra il titolo del suo primo lavoro, un film del 1969 La vie impossible de Christian Boltanski), in grado al contempo di alludere all’intera umanità. Già nei primi lavori ciò viene espresso da pile di vestiti, rubriche telefoniche, fotografie, registrazioni dei battiti cardiaci, nel tentativo quasi ossessivo di archiviare tutto, di conservare tutto, di ricordare tutto. O, ancora, le sue opere fanno riferimento alle gravi tragedie dell’umanità rendendo universale la sua biografia: Boltanski nasce infatti durante la Seconda Guerra Mondiale da un padre ebreo e da una madre cattolica.
Il progetto site-specific pensato per la Fondazione Merz è anch’esso una riflessione sull’assenza. Duecento fotografie di volti stampate su un tessuto trasparente di grande formato sono sospese sul soffitto, alcune delle quali si muovono nello spazio. Il visitatore è invitato a lasciarsi trasportare da questo flusso del tempo e della memoria vagando tra presenze fantasmatiche. Anche al centro del video Entre Temps (2004) vi è lo scorrere del tempo, ma questa volta il protagonista è Boltanski stesso che, con un morphing lentissimo, da giovane diventa adulto. Una finestra all’interno della mostra si apre su un teatro delle ombre che rappresenta una danza macabra, emblema del memento mori e dell’illusorietà delle cose.
Al piano di sotto, al quale si accedere a seguito dell’applauso del video Clapping Hands, vi sono pile di scatole di cartone ricoperte di cellophane – un archivio dimenticato delle cose umane – e la scritta Dopo, fatta da lampadine blue e rosse che irradiano una luce violacea nello spazio, invitandoci a riflettere su ciò che accadrà a ciò che accumuliamo nelle nostre vite, su ciò che resta della nostra memoria e delle nostre storie.
Eleonora Roaro
Christian Boltanski. Dopo
a cura di Claudia Gioia
Fino al 31 gennaio 2016
Fondazione Merz, Torino