Fino alla fine del cinema presenta una serie di opere audiovisive che iniziano un percorso proprio dove il cinema lo ha terminato, passando dalla linearità all’interattività e da una visione collettiva a una individuale. Queste opere utilizzano, per le sue qualità intrinseche a diversi livelli, l’infrastruttura globale che è la Rete, e rappresentano un’evoluzione delle tecniche espressive per la narrazione audiovisiva. Se il cinema ha costituito la principale bocca di fuoco dell’immaginario moderno, oggi questo universo condiviso di immagini, suoni e storie vive su una molteplicità si piattaforme, schermi e cronologie.
Se i primi montaggi cinematografici hanno esteso la logica della catena di montaggio ai sensi e portato la rivoluzione industriale nell’occhio, questo tipo di produzioni interattive, non-lineari, frammentate e mobili, portano agli occhi la rivoluzione digitale.
Il cinema non è morto ma gli “schermi” avranno sicuramente lunga vita. Queste opere ci mostrano alcuni dei percorsi che si possono intraprendere oggi per raccontare delle storie non-lineari e “portatili”. Le narrazioni audiovisive si affrancano dalle statiche sale di proiezione e accompagno l’uomo nella sua vita quotidiana. Ognuna delle opere presentate nel libro Fino alla fine del Cinema rappresenta una diversa tipologia di palcoscenico, diversa da Youtube e differente rispetto alle altre, portando ogni volta lo spettatore a dover intraprendere nuove convenzioni.
Il titolo prende spunto dal film che Wim Wenders dirige nel 1991 Fino alla fine del mondo: con lo stesso titolo ho presentato una mostra online prodotta da Piemonte Share nell’ambito di Share Festival 2009, reperibile al seguente indirizzo http://www.toshare.it/untiltheendofcinema
Le opere che seguono rappresentano invece la parte più eterogenea e sperimentale di questo universo: mash-up, quadri in movimento, animazioni interattive, knowbot registi.
Nel milieu delle immagini in movimento le opere descritte si situano in una zona limitrofa, dove gli interscambi sono molteplici e le mutazioni continue, dando vita a opere che ho posto su un ideale linea di complessità crescente per quanto riguarda la laricombinazione dei linguaggi e l’integrazione della narrazione (attraverso gli schermi) nella realtà.
Sto parlando del territorio dell’open cinema, le cui macroaree possono essere divise in webcinema, game cinema, new expanded cinema. Lungo questo percorso, ogni opera rappresenta una differente sperimentazione, il cui unico comune denominatore è quello di aprire il cinema, in tutti i sensi e in tutte le direzioni: all’interattività, alla contaminazione con i software per la manipolazione e la creazione di immagini, verso nuove modalità distributive.
Nella seconda parte del libro intervisto alcuni artisti dell’immagine in movimento che si situano lungo un ideale vettore che dallo static cinema di Oculart.com di Geoff Lillemon giunge fino al livecinema di The Geographer di Ogino Knauss; per questo lascio direttamente la parola agli artisti, ma utilizzo le loro opere come casi significativi di questa mutazione culturale in atto. E’ importante però che si consideri questa tendenza come un cambiamento che varia all’interno di un intero sistema, piuttosto che come qualcosa che si muove verso l’alto o verso il basso. L’evoluzione delle tecnologie, la mutazione dei linguaggi e il progressivo ampliamento e diversificazione degli spazi, non è quindi da vedere come un’entità singola che cresce ma come un intero sistema in espansione. Tenere d’occhio questo approccio è utile perché altrimenti sarebbe troppo facile denigrare il limitato impatto di questo tipo di opere che, considerate nel contesto allargato dell’evoluzione culturale, costituiscono invece la frontiera sperimentale che segna la strada per lo sviluppo dello storytelling. Open cinema non è una categoria chiusa ma descrive un ambiente culturale in evoluzione continua.
Nell’ecosistema dell’immagine in movimento ha fatto irruzione la tecnologia digitale. Internet in particolare, grazie alla sua estrema flessibilità, ha costituito il palcoscenico dove negli ultimi dieci anni sono apparse nuove forme di narrazione per immagini in movimento. In questo nuovo ecosistema mediale sono potute emergere queste mutazioni del cinema, che spostandosi in rete, si è naturalmente ricombinato con immagini, testo, database, suoni, interfacce grafiche. I risultati sono molto diversi tra loro, ma tutti quanti sono testimonianza di un’evoluzione nel rapporto dell’uomo con l’immagine in movimento. Queste opere non sono più cinema e non sono già qualcos’altro .
Per citarne alcune, The Big Plot di Paolo Cirio è un progetto di narrazione dispersa, dove le piattaforme si moltiplicano e i personaggi della storia prendono vita nei social network. The greatest story ever told di Phil Wood remixa alcune scene del cinema classico creando un mash-up dove le grandi star di Hollywood vengono presentate in un caleidoscopico montaggio sincopato. A sud di Pavese di Matteo Bellizzi e Antonio Rollo è un database cinema, dove le colline delle Langhe sono contaminate idealmente con il mare della Calabria, i racconti del sud si mescolano ai volti dei contadini della vigna, Torino è vista dalla prospettiva di uno straniero.
13terShop di Florian Thalhofer costituisce una riflessione critica nella forma di un documentario a interviste della forma sociale e architettonica dei grandi mall, realizzato con il software autoprodotto Korsakow System. Hotel di Hans Hoogerbrugge, che campeggia sulla copertina del libro, è una narrazione che invita lo spettatore a calarsi nei panni del Dr. Dotgin e guidarlo in questo hotel ”clinicamente bizzarro”.
Fino alla fine del cinema, Luca Barbeni, 2010, CLUEB
Luca Barbeni
D’ARS year 51/nr 206/summer 2011