Curva, intreccia, avviticchia, annoda finché la matassa prende la forma d’un piede, poi una gamba, due, un corpo. Così lavora Fabrizio Pozzoli, più che scultore si dovrebbe chiamarlo intrecciatore. Usa chilometri di fil di ferro, ora zincato ora ossidato, cioè trattato per mantenerlo lucido o lasciato arrugginire, a dire che anche per un simulacro di metallo il tempo passa. L’effetto è paradossalmente tanto artificiale quanto realistico: il cavo, così diverso nel colore e nella sostanza alla carne, eppure così abile nell’imitare le fibre dei muscoli, come si vedono in quei disegni anatomici del corpo umano senza pelle.
Ecco, anche gli uomini e le donne – soprattutto le donne, spesso incinte – di Fabrizio Pozzoli si presentano così, nudi, e messi a nudo sono anche i loro desideri e le loro paure. Eccone una che porta in braccio la sua casa come fosse un figlio; un’altra si sporge sull’abisso da una trave arrugginita; indugiano avvilite in cima a pali di legno, il vuoto sopra, sotto e attorno; sbrogliano – letteralmente – i propri pensieri sotto forma di corde di canapa. Alla galleria Glauco Cavaciuti, il curatore Alberto Mattia Martini ha raccolto una ventina di questi grovigli antropomorfi sotto il titolo Prodromes – dal nome di alcuni lavori – perché nei gesti e negli attributi che portano si leggono i prodromi di una crisi imminente (o già in atto). Più una serie di lastre animate da sottili silhouette di metallo ossidato, che riprendono – o precedono, come dei bozzetti – le forme a tuttotondo; e una grande testa dalla serie Oversize del 2005.
Bella l’idea di pubblicare nel catalogo che accompagna la personale (scaricabile dal sito della galleria) un breve racconto di Marco Settembre, L’imperfezione, che ben si accorda con le sculture in mostra. Vi si legge di come Andrea Recalcati, maniaco della perfezione, cerchi di staccare un filo rosso che pende dalla giacca di un signore in piedi davanti a lui sul metrò. Quando quello scende e comincia a camminare, il Recalcati lo segue a distanza col filo stretto tra le dita, ne fa un gomitolo, si ritrova con l’uomo “srotolato” tra le mani. Lo stesso gli ricapita poco dopo con un ragazzo. Tornato a casa, scopre che anche lui ha un filo rosso che gli pende dalla schiena. O meglio: gli esce dalla pelle, come una piccola coda. Lo tira un po’ e si accorge che così facendo scatena ricordi intensissimi, odori, sapori, suoni e immagini registrati nel corso d’una vita. Fa un’altra prova, quindi lega l’estremità del filo al calorifero ed esce in strada, lasciandosi sfilare.
Nota di contorno: sul pavimento della galleria sostano placide alcune rane di plastica del Cracking Art Group, protagoniste della recente settimana del design.
Stefano Ferrari
fabriziopozzoli.com
Fabrizio Pozzoli. Prodromes
a cura di Alberto Mattia Martini
4 aprile – 4 maggio 2013
Galleria Glauco Cavaciuti, Milano