Primo piano – premessa. Sono una analfabeta visuale? In occasione della lectio magistralis tenutasi l’8 aprile scorso presso Palazzo Barberini (Roma), il regista e artista britannico Peter Greenaway ha accolto la platea con un’affermazione bonariamente provocatoria: “Tutti, in questa sala, siete analfabeti visuali”. Per chi non lo conoscesse, il nome di Greenaway è noto tra i cultori di cinema e arte, tanto apprezzato quanto criticato, per le sue provocazioni, le sue arditezze e le sue sperimentazioni. Lungometraggi e opere di rivisitazione dei grandi maestri della pittura come Leonardo Da Vinci, oppure messinscene videoartistiche come la ripopolazione della Reggia di Venaria (TO) dove ha elaborato un teatro virtuale fatto dalle proiezioni sulle pareti dei saloni e delle stanze della reggia. Al di là delle opere, sono convinta che la sua provocazione vada raccolta per riflettere sulla modalità di sguardo con cui guardiamo le immagini di cinema e di arte.
Campo totale – il fatto. Tre giorni dopo la lectio di Greenaway, l’11 aprile, gli italiani cinefili e appassionati di arte che hanno partecipato all’evento “Exhibition. Manet – ritratti di vita” hanno potuto visitare in differita le sale della Royal Academy di Londra per vedere la mostra dedicata al pittore francese. Exhibition è stato un evento cinematografico unico: alla stessa ora, lo stesso giorno, un centinaio di sale italiane hanno trasmesso il documentario prodotto e diretto da Phil Grabsky e Tim Marlow sull’omonima mostra. La macchina da presa entra nel museo, ne percorre le sale, si sofferma sui dipinti, ne penetra le iconografie, zooma e fornisce dettagli, si intrattiene con curatori e organizzatori della mostra per costruire parentesi biografiche sulla vita dell’artista. Come una visita guidata alla mostra, il film conduce la visione in modo da poter raggiungere e intrattenere il pubblico più vasto possibile, raccontando in forma limpida e didascalica.
Campo medio – riflessioni. Oggi più che mai, la sala cinematografica è oggetto di profonde trasformazioni, artistiche e commerciali. Greenway ipotizza la morte del cinema per celebrare una cine-arte che riesca a svincolarsi dalla tirannia della scrittura sulla visione in nome di una educazione dell’occhio che sembrerebbe trascurata: “Se avete gli occhi, non vuol dire che possiate vedere” avrebbe detto Rembrandt (cito da Greenaway). Il calo degli spettatori nel nostro paese non sembra contraddire il malessere diagnosticato dal regista. Ritorno alla domanda originaria: sono un’analfabeta visuale? Certamente dover limitare le esperienze di visione ai soli film trasmessi dalle sale italiane impedisce di ampliare la conoscenza visiva e non aiuta a guardare oltre. Exhibition è un esperimento fatto con il pubblico del cinema e capace di interpretare la sala cinematografica in maniera inusuale: il film rimane all’interno dei canoni, ma l’evento lo rende in qualche modo un azzardo. Con la stessa modalità sarà replicato in occasione di altre due mostre, quella su Munch (il 27 giugno) e su Vermeer (il 29 Settembre) di Oslo. Con premesse differenti e all’interno di percorsi visivi e artistici quasi agli antipodi, le parole di Greenaway mi hanno dato spunti per approfondire l’intento del documentarista Grabsky e intenderlo nella prospettiva di sperimentazione cui il cinema e, alla sua epoca, la pittura di Manet ancora credeva e poteva: credo che il cinema non sia morto, ma abbia bisogno di un risanamento.
Campo lunghissimo – prospettive. Greenaway ha concluso un film sull’incisore danese Heinrich Goltzius, Goltzius and the Pelican Company; sogna di poter ripetere l’esperienza sull’Ultima cena di Leonardo con il quadro “Il trionfo della Divina Provvidenza” di Pietro Da Cortona. Oltre Munch e Vermeer, Phil Grabsky si augura di riuscire a diffondere in sala questo genere di opere, auspicando di poter raccontare oggi la vita e le opere dei contemporanei. Guarderò con attenzione ad entrambi!
Elena Cappelletti