Quando a una donna guatemalteca viene chiesto come stia, risponde “estoy viva”. È un’affermazione perentoria, vitale, inconfutabile. È un atto biologico sotto sembianze linguistiche. Estoy viva è il titolo che i curatori Diego Sileo e Eugenio Viola hanno scelto per la più estesa antologica mai dedicata a Regina José Galindo, al PAC dal 24 marzo all’8 giugno. La mostra, promossa dal Comune di Milano, inaugura la stagione espositiva del Padiglione d’Arte Contemporanea, in concomitanza con MiArt 2014.
Le performance di Regina José Galindo attingono esplicitamente dal bacino politico del Guatemala, terra di conflitti irrisolti e violenti soprusi. Da quelle latitudini, la sua riflessione si espande e percorre le linee immaginarie di ogni coercizione sociale. La mostra intende restituire questa trasversalità ineluttabile che l’opera dell’artista mette in scena attraverso il proprio corpo. Diviso in cinque sezioni – Donna, Violenza, Organico, Morte e Politica – il percorso espositivo rappresenta una sintesi nutrita delle opere recenti dell’artista accompagnate a una ricca selezione dei suoi lavori più emblematici, dalle origini a oggi, tra cui Quien puede borrar las huellas? (2003), premiato alla 51. Biennale di Venezia, Todos estamos muriendo (2000), esposto per la prima volta in quest’occasione, Himenoplastia (2004), Mientras, ellos siguen libres (2007), Caparazon (2010), Alud (2011), Piel de Gallina (2012), Descension (2013) e molti altri ancora, ai quali si aggiungono numerosi disegni e sculture che enfatizzano l’allestimento documentaristico della mostra.
Abbiamo incontrato l’artista, essere minuto e delicato in apparenza, per sua stessa ammissione poco in confidenza con le parole.
(Laura Migliano) La mostra si presenta come un’enorme documentazione visiva delle tue performance, specie in forma di video e fotografie. Che sensazione ti restituiscono le tue azioni quando sei tu a osservarti?
(Regina José Galindo) Effettivamente non spendo molto tempo a rivedermi, realmente percepisco i video e le foto solo come una documentazione. Mi concentro sull’emotività del pubblico, sull’efficacia metaforica e prossemica, mi servo del documento in questi termini. Anche perché riesco si a provare sensazioni molto vicine a quelle provate durante le performance, ma molto diverse in termini controllo e concentrazione, che poi sono la fatica e la gioia dell’accadimento, il suo nutrimento.
(LM)La performance, in senso lato, è la condizione umana per eccellenza. Tutto il Novecento, dalla linguistica all’arte, è stato caratterizzato in qualche modo dall’approfondimento performativo dell’espressione umana. In che modo oggi può essere considerato un atto artistico rivoluzionario?
(RJG) Il mio interesse per la performance nasce dall’esigenza fisica di esperire dolori e frustrazioni di chi non ne fa esperienza volontaria, ma li subisce in modo reiterato. Non mi interessa la performance come categoria rivoluzionaria, ma come espressione artistica del singolo. Mi chiedo solo come io, in quanto artista, possa manifestare il mio modo di essere, le mie paure, le mie angosce, attraverso uno strumento artistico. La performance è l’unica modalità espressiva in cui mi sento onesta e parte dell’umanità.
(LM) Le didascalie ai documenti visivi rivelano quasi sempre la commissione e la produzione museali legate alle performance, nella maggior parte dei casi di musei dell’area settentrionale dell’Occidente. Che tipo di rapporto hai con le istituzioni museali, volto dei poteri forti dell’arte? Soprattutto da parte di un’artista che è manifesto contemporaneo della lotta al potere.
(RJG) Mi rendo perfettamente conto del divario di cui parli. Personalmente ho un ottimo rapporto con i musei. In Guatemala è praticamente impossibile portare avanti la mia ricerca senza incorrere in rischi di censura o peggio ancora di altra natura. I musei occidentali mi danno la possibilità di “alzare la voce senza urlare”, mi permettono di svelare la realtà del mio popolo pur parlando una “lingua” che è comune. Ho fatto della mia esistenza la materia della mia protesta in termini artistici, nella volontà di suscitare reazioni di dissenso politico in chi guarda, non di provocazione. L’unico modo che ho a disposizione per farlo è attraverso i benefici dei musei che mi sostengono.
Per il PAC, l’artista guatemalteca ha realizzato una performance ad hoc, Exalatión: in una camera che sembra mortuaria, distesa su una sorta di pietra tombale, Galindo è sedata fino all’incoscienza. Poche persone per volta entrano e ne constatano la vita solo attraverso uno specchietto che rivela il fiato che espira dalle narici. Per sottrazione, sembra volersi affermare: alla performance, al pubblico, al fare, all’opera, alla vita. Ciò nonostante, vorrebbe forse ghignare, estoy viva.
Laura Migliano
ESTOY VIVA
Regina José Galindo
25 Marzo 2014 — 08 Giugno 2014
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano
Palestro 14 a Milano