Tra i progetti di ricerca selezionati dal curatore Aravena per la 15. Mostra Internazionale di Architettura, Ephemeral Urbanism, cities in constant flux indaga il fenomeno degli insediamenti urbani transitori e cerca di legittimare il concetto di temporaneità nella cultura urbanistica contemporanea.
All’Arsenale colpisce il progetto di ricerca di Rahul Mehrotra e Felipe Vera, Ephemeral Urbanism, cities in constant flux. A partire dal focus sul Kumbh Mela, festival religioso induista, si dispiega un processo di analisi dei paesaggi effimeri che mette in crisi l’idea di permanenza come unica possibile configurazione della città. La nozione di temporaneità si lega a molte delle parole chiave, manifesto della Biennale, nei sui accenti sui temi di comunità, migrazione, catastrofi naturali, informalità, housing. L’effimero, che tanto sembra permeante nell’immaginario contemporaneo, con questo lavoro ha un ulteriore riconoscimento ufficiale anche in ambito architettonico e urbanistico, a partire dall’evidenza di fenomeni urbani sempre più diffusi che ridisegnano la città sulla spinta di diverse esigenze sociali.
Il Kumbh Mela avviene una volta ogni tre anni a rotazione tra quattro località diverse, ma la celebrazione più grande ha luogo ogni dodici, richiamando milioni di persone: rappresenta l’esempio di una mega città temporanea. Il caso preso in esame alla Biennale è quello di Allahbad nel 2013: il processo di realizzazione della città è partito alla fine di ottobre 2012, a conclusione della stagione dei monsoni, ed è terminato a gennaio. Partendo dal settore amministrativo e governativo, assieme alle infrastrutture pianificate dall’amministrazione, si è giunti all’edificazione di una megalopoli temporanea, con abitazioni e strutture di diversa tipologia e materiale. Tutte le costruzioni a marzo sono state dismesse e i materiali portati in magazzini o rivenduti.
L’installazione realizzata per l’esposizione del lavoro di Mehrotra e Vera dallo studio spagnolo Bambusa richiama i fabbricati del Kumbh Mela, i cui materiali sono principalmente bambù, corda e stoffa.
Il carattere temporaneo è quasi una costante nella storia delle città e in India è molto evidente: eccetto i santuari, spesso gli spazi pubblici sono spontanei o periodici, cioè legati a qualche evento, fiera, festa sia per questioni climatiche che economico-sociali. Parti di città sono cinetiche, ovvero stratificate, incorporano al loro interno i flussi, producono uno spazio pubblico che non è definito temporalmente e spazialmente: lo spazio non è fermo, solido, ben circoscritto.
Ai temi della religione e della transazione (mercati, fiere), che rappresentano l’argomento storico più consistente per quanto riguarda la ricerca sulle città effimere, si affianca quello dei campi militari che palesano da lungo tempo un esempio di progettazione e messa a punto di grande efficienza sia a livello tecnico che logistico.
La ricerca mostra anche le tendenze più o meno frequenti come la progettazione di infrastrutture e soluzioni d’emergenza a breve termine a seguito di disastri naturali, studiate per ospitare migliaia di abitanti temporanei vicino ai luoghi di lavoro, principalmente zone di estrazione, e infine i campi di rifugiati che rappresentano le città effimere di lunga durata.
Una tendenza più recente è quella delle celebrazioni temporanee, caratterizzate da breve durata e grande intensità come il festival Burning Man che si svolge ogni anno in Nevada e che vede l’afflusso di decine di migliaia di partecipanti.
Il tempo nelle pratiche spaziali, dimostrano Mehrotra e Vera, gioca un ruolo cruciale nella delineazione di alcuni tipi di insediamenti. Non è una reale contrapposizione tra ciò che è permanente o cosa non lo è, ma lo studio ha l’efficacia e l’obiettivo di sottolineare la questione della temporaneità e legittimare ciò che è temporaneo. Fa riflettere sui modelli dell’urbanistica, rivela una galleria di configurazioni sottorappresentate o non ancora riconosciute che stanno portando a un nuovo modo di pensare o integrare la città.
La permanenza conta tanto quanto la transitorietà.
Federica Portanova