Prosegue fino al 15 luglio presso la Casa dei Tre Oci alla Giudecca la Mostra Elliott Erwitt. Personal Best.La selezione di 140 fotografie fra le più significative della carriera di Erwitt (che personalmente ha curato l’esposizione assieme a Denis Curti) è giunta a Venezia dopo essere stata esposta al MEP di Parigi, al Reina Sofia di Madrid, e all’ICP di New York. Nato a Parigi nel 1928 da una famiglia russa di origine ebraica, Erwitt trascorre l’infanzia in Italia e nel 1939 si trasferisce al seguito dei genitori negli USA, prima a New York e poi a Los Angeles. Dal 1953 è divenuto membro dell’agenzia Magnum, fondata al termine della seconda guerra mondiale da alcuni fotografi fra cui H. Cartier-Bresson e R. Capa.
Nelle sue immagini in bianco e nero l’autore sa cogliere da sessant’anni vari aspetti drammatici ma anche comici del vivere nella civiltà occidentale. Le 140 istantanee, che spesso raggiungono una sorprendente perfezione formale, lasciano trapelare ora l’umorismo distaccato, ora la commiserazione sottostante alla capacità di fermare l’attimo in cui l’essere umano rivela qualcosa in più di sé stesso, qualcosa che magari non vorrebbe mostrare. Per Erwitt la fotografia è il risultato della capacità di guardare e vedere qualcosa d’insolito, d’inaspettato; scrive egli stesso: “Nei momenti più tristi e invernali della vita, quando una nube ti avvolge da settimane, improvvisamente la visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me è molto simile a questo squarcio nelle nuvole…” La mostra è divisa in varie sezioni, ognuna in una differente stanza del palazzetto veneziano d’inizio Novecento: dagli uomini politici (indimenticabile Nikita Krusciov che nel 1959 fulmina con lo sguardo Richard Nixon che osa puntargli un dito contro fino a toccarlo) alla gente qualunque ( toccante lo sguardo di un ragazzo che nel dopoguerra viaggia da clandestino aggrappato al retro di un tram), dagli interni di musei e gallerie ( sorprendente la statua della dea Diana che punta la freccia verso un visitatore del Metropolitan Museum) ai cani (paradossale il microscopico chihuahua con cappottino e cappellino, di fianco alle zampe di un altro cane di grossa taglia ed alle gambe della padrona, che s’immaginano ergersi come giganti al di fuori dell’inquadratura). La sezione più suggestiva è quella relativa alla famiglia, in cui gli sguardi di genitori e figli ricordano alcuni trattati dell’antipsichiatria degli anni Sessanta e Settanta, e in cui certe immagini colte in luoghi naturisti ( bizzarro il matrimonio in cui tutti sono nudi, celebrante compreso) veicolano un sottile sarcasmo sociologico.
E se si volge lo sguardo al di fuori, oltre le tre grandi trifore (i tre occhi da cui la sede espositiva prende il nome) può capitare di vedere passare in bacino S. Marco una enorme nave da crociera che, trainata da piccoli rimorchiatori, oscura Palazzo Ducale e il campanile di S. Marco, come avrebbe potuto essere in una foto di Erwitt.
Edoardo Pilutti