Disorientante e al contempo catalizzante, l’intervento artistico Ruin Politics, parte del programma culturale della scorsa edizione Artissima dall’emblematico titolo It’s Not the End of the World, induceva il visitatore a seguire passo passo un sentiero inusuale e scomposto. Per meglio cogliere quel flusso di disegni ed epigrammi realizzati da Dan Perjovschi nel contesto della Corte Medievale di Palazzo Madama a Torino, più precisamente sul pavimento in vetro attraverso il quale solitamente si ammirano gli scavi delle rovine romane, era necessario chinarsi e mettere a fuoco, compiere un piccolo sforzo proprio come l’autore che ha dovuto strisciare letteralmente sotto il pavimento affinché la sua opera fosse leggibile e “calpestabile”.
Dan Perjovschi, nato a Sibiu (Romania) cinquantuno anni fa, è avvezzo a questo tipo di interventi dall’esito temporaneo e dalla natura fortemente site specific. Nel corso degli ultimi venti anni, i suoi mordaci disegni hanno invaso musei, spazi pubblici e biennali (a Venezia nel 1999 e nel 2007) in giro per il mondo, ma la novità stavolta è stato il graffiante parallelo metaforico tra i ruderi del passato e le rovine attuali: finanza, religione, politica, cultura, questioni mondiali e nazionali, nulla è risparmiato. Ciò che l’artista rumeno tratteggia su pareti e pavimenti, fogli di giornale e quaderni, è profondamente legato alla realtà del presente, ne è l’ironico commento, una caustica interpretazione che possiede l’urgenza e la pregnanza di un J’accuse o di un pampleth, ma con la carica espressiva e l’immediatezza della vignetta satirica e della battuta di spirito. Pur non sentendosi esattamente a proprio agio negli edifici storici – «Ne sono terrorizzato» –, Perjovschi ha accolto la proposta di Sarah Cosulich Canarutto, direttrice di Artissima e ideatrice del progetto, stimolato soprattutto dalla peculiarità del contesto espositivo: Palazzo Madama, sede del Museo Civico di Arte Antica, è uno degli edifici più prestigiosi del capoluogo piemontese e uno dei luoghi più visitati dai turisti, per di più l’accesso alla Corte Medievale è gratuito. Una tale location non poteva che risultare confacente alle intenzioni dell’artista: raggiungere un pubblico il più ampio possibile, affinché la gente possa riacquistare senno e risvegliare la coscienza sopita. «I miei disegni agiscono come un disturbo intellettuale. Il pubblico si confronta con dichiarazioni riguardanti la corruzione, il potere politico, la crisi, la disuguaglianza, la protesta, la paura, ecc. Alcuni si rifiutano di guardare e cercano di ignorarli, tuttavia in Ruin Politics ho utilizzato un tratto così delicato da infiltrare lo sguardo senza bloccare la vista. Voglio ricordare alle persone che, anche quando sono in vacanza, si trovano pur sempre in un contesto politico». Il linguaggio icastico dell’autore, coadiuvato da massicce dosi di acume e ironia, agisce, per l’appunto, come un’interferenza, o sarebbe meglio dire come una piccola scossa capace di rimettere in moto la capacità di giudizio nelle menti spesso offuscate dall’eccessivo accumulo di immagini e informazioni o arenatesi sulla spiaggia dell’indifferenza.
Per Dan Perjovschi disegnare è un «istinto naturale»1 , il modo a lui più congeniale attraverso cui esprimersi e capire il mondo. Naturalmente, il suo lavoro non si riduce a un paio di gessetti o pennarelli indelebili, ma si fonda sull’osservazione meticolosa della realtà nella quale si trova a operare, finalizzata alla ricerca di ulteriori stimoli e tracce utili. Tutto parte dalla messa al setaccio di giornali locali ed esteri, per poi proseguire con perlustrazioni urbane con taccuino alla mano a caccia di elementi di interesse: dai graffiti sui muri ai discorsi captati in giro, dai cartelloni pubblicitari ai gesti e riti quotidiani della gente incontrata per strada, per Perjovschi ogni cosa può costituire un dato significativo e può dunque tramutarsi in uno schizzo sul suo inseparabile block notes e, infine, in un intervento segnico-performativo. Così è avvenuto, per esempio, in occasione della mostra The Crisis is (not) Over, presentata al MACRO nel 2011, in cui l’artista ha tappezzato le candide pareti della sala Enel con una miriade di disegni dall’inconfondibile carattere stilizzato e dall’alto tasso caustico. Vi emergevano papi e generali, politici e comuni cittadini alle prese con anomalie ed eresie del mondo odierno, così come simboli e sigle, ossessioni e feticci, vizi e pregiudizi, buchi neri e zone grigie della società contemporanea. Tutto all’insegna di una impellente libertà espressiva, seppur evitando di cadere nel volgare o nell’oltraggioso, fermandosi sempre un pochino prima. Quello della libertà di espressione è un principio fermo, un diritto non scontato per chi, come Perjovschi, ha conosciuto e vissuto in prima persona la distorsione della realtà pianificata e attuata da un regime. In questo caso si tratta della dittatura di Nicolae Ceaușescu, cessata nell’89 dopo aver lasciato dietro di sé uno strascico di eventi infausti e di danni all’apparato sociale, economico e culturale della Romania. «Sono sopravvissuto al comunismo grazie all’arte e adesso sopravvivo al capitalismo facendo lo stesso»2, ha affermato a tale proposito l’artista che, durante gli anni del sistema repressivo, espresse in vari modi il suo dissenso, sia collaborando con il gruppo artistico alternativo Studio 35 sia attraverso azioni simboliche, come quella che nell’88 lo vide ricoprire interamente di carta il suo appartamento per poi disegnarvi sopra, vivendo “avvolto” dalla sua arte insieme a sua moglie per due settimane. Un’azione per certi versi simile Perjovschi l’ha realizzata di recente presso la Galleria Kaufmann Repetto di Milano con l’installazione Good News, Bad News, No News: tracciati sopra un collage ininterrotto di fogli di giornale incollati alle pareti, i suoi disegni enfatizzavano, parodizzavano o commentavano titoli, immagini e notizie. Perjovschi, d’altronde, ha sempre affiancato alla sua carriera artistica una indefessa attività nel mondo della stampa, collaborando per esempio con il periodico Revista 22, primo settimanale indipendente in Romania fondato all’indomani della rivoluzione del 22 dicembre 1989, per il quale tuttora cura la rubrica al fulmicotone Vis a Vis.
Alcuni potrebbero domandarsi se sia possibile criticare aspramente un sistema e farne al contempo parte. «I miei lavori sono esibiti in musei, centri d’arte, spazi alternativi, biennali e qualche volta nelle gallerie, ma in ogni caso non sono vendibili. I miei disegni vengono cancellati, lavati via o coperti ogni volta […] Critico l’importanza attribuita al termine ‘mercato’ nel sintagma mercato dell’arte. Mi considero esterno ad esso e lotto duramente per mantenere la mia indipendenza», così l’artista spiega in che modo coerenza e credibilità siano possibili pur operando in quel sistema dell’arte di cui egli stesso, spesso e volentieri, denuncia i meccanismi corrotti e lesivi. Persuaso che l’arte contemporanea sia uno degli ultimi “luoghi sacri” della libertà di espressione, Perjovschi rivendica il ruolo di responsabilità ricoperto dell’artista nel miglioramento della società, un onere e onore spesso sottovalutato o dimenticato.
Francesca Cogoni
D’ARS year 52/nr 212/winter 2012
1. Dan Perjovschi in conversazione con la curatrice Roxana Marcoci, in occasione della mostra “Dan Perjovschi: What Happened to Us?” tenutasi al MoMA di New York nel 2007. Cfr. www.moma.org/interactives/exhibitions/projects/.
2. Dan Perjovschi in conversazione con Sarah Cosulich Canarutto, in occasione di Artissima 2012. Cfr. Artissima Book, pp. 314-323.
Tutte le altre citazioni del testo non accompagnate da una nota derivano da una conversazione avvenuta via e-mail tra l’autrice e l’artista.