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Andy Warhol ha disegnato cover durante tutto l’arco della sua carriera d’artista: dischi di classica, jazz, rock, pop, soul e new wave, per un totale di 57 copertine. Per ora. Catalogate ufficialmente solo in tempi recenti, potrebbe sempre spuntarne qualcun’altra.
A differenza di quanto accade spesso oggi, sono tutti progetti realizzati ad hoc da Warhol, che amava collaborare con musicisti che apprezzava e conosceva personalmente e, se le mettiamo in fila, possiamo usarle come bigino per ripassare le tappe più significative del percorso artistico di Andy.
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Nelle cover degli anni Cinquanta, domina la tecnica “a linea macchiata” (blotted line), che consiste nel trasferire un disegno a inchiostro, da un foglio di carta impermeabile, a uno di carta assorbente, con un conseguente effetto frastagliato nel contorno della figura. Così sono realizzati, ad esempio, i disegni sulle copertine di Kenny Burrell Volume 2 (1956) e The Congregation (1957) di Johnny Griffin.

Monk (1954) è la prima chicca. Progettata assieme a Reid Miles, artefice di oltre 500 cover, è assolutamente innovativa nell’abbinare caratteri tipografici e scrittura a mano (la scriba è la madre Julia Warhola), anticipando il binomio manualità/meccanicità che di lì a poco diventerà il suo marchio di fabbrica.
Gli anni Sessanta sono decisivi, per la storia delle cover firmate e per la carriera di Warhol. Con tre copertine geniali, Warhol contemporaneamente consacra la cover come nuovo supporto artistico, lancia la Pop art ed entra nel mondo del rock.
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Sono The Velvet Underground & Nico (1967), con la famosa banana adesiva da spellare (icona pop per eccellenza assieme ai barattoli di zuppa Campbell e alle scatole di detersivo Brillo); Sticky Fingers (1971) dei Rolling Stones, con la fotografia di un paio di jeans con una vera zip funzionante; e The Academy in Peril (1972) di John Cale, forata con 25 finestrelle come un calendario dell’avvento (ahimè, tutto è andato perduto nelle odierne edizioni su CD).
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Altrettanto curiosa è la cover di This is John Wallowitch (1964), che riprende gli esperimenti fotografici di Warhol con la fototessera (photo booth), la cui struttura torna anche in molte serigrafie di quegli anni.

Nelle cover degli anni Settanta e Ottanta, dominano i classici ritratti (fotografici; pittorici; serigrafati) per cui Warhol è noto a tutti. Ci sono Diana Ross (Silk Electric, 1982), John Lennon (Menlove Ave., 1986), Aretha Franklin, Mick Jagger, Miguel Bosé, Liza Minnelli e pure la nostra Loredana Berté (Made in Italy, 1981; la foto, però, è di Christopher Makos, all’epoca fotografo ufficiale della Factory, che rivendica la paternità della cover).


L’ultima copertina, 38 anni dopo la prima, è del 1987, per la compilation MTV High Priority, una raccolta fondi per la ricerca sul cancro. Warhol, però, muore prima di portare a termine il progetto, lasciando solo lo schizzo di un volto, lasciato nella versione finale della cover, completata dai suoi collaboratori.
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La fonte delle notizie è il catalogo Andy Warhol. The complete Commissioned Record Covers 1949-1987 (Prestel, 2015)
Stefano Ferrari