Una mostra a Lugano per parlare ancora di arte, scienza e tecnologia
SI MOLTIPLICANO NEL 2009 LE INIZIATIVE dedicate all’approfondimento del rapporto uomo-macchina, con particolare riferimento agli sviluppi della robotica. Questo tema caldo, affrontato da diversi punti di vista, rivela l’urgenza di porre le basi culturali necessarie all’umanità per accogliere senza traumi le importanti evoluzioni in questo campo. Nonostante i molti studi e le diverse riflessioni artistiche e letterarie sulle questioni riguardanti i robot e il rapporto tra corpo e tecnologia (già discussi ampiamente dalla rivista D’ARS, sia in passato che negli ultimi anni nella sezione Nuovi orizzonti, e dalla Fondazione stessa con le varie edizioni del Premio Oscar Signorini), siamo ad una fase ancora iniziale di un percorso epistemologico intrapreso nel secolo scorso.
Se nell’edizione 2009 di Ars Electronica di Linz (luogo fondamentale per la discussione attraverso l’arte e non solo, di quanto emerge nella società dall’introduzione delle nuove tecnologie) esempi di arte robotica rientrano nella categoria Hibrid Art, questa pratica si afferma già da qualche anno come categoria artistica riconosciuta sia in Italia che all’estero. Tuttavia resta ancora una volta utile, al di là della volontà di riconoscere e attribuire nomi alle nuove sperimentazioni artistiche, osservare come da sempre l’uomo abbia tentato di riflettere, sulla sua natura tecnologica e sulla sua convivenza con le macchine; su questo suo rapporto imprescindibile, naturale, intimo ma anche controverso, a volte violento e caratterizzato da rigetti, con gli strumenti creati allo scopo di estendere e potenziare la possibilità di azione sul mondo.
Tra le utlime iniziative dedicate a queste tematiche, va segnalata la mostra a cura di Bruno Corà e Pietro Bellasi, Corpo Automi Robot. Tra arte, scienza e Tecnologia, che ha luogo a Lugano nelle due sedi di Villa Ciani e del Museo d’Arte (aperta il 25 ottobre 2009, si concluderà il 21 febbraio 2010).
La mostra si articola in due sezioni. Nella sede di Villa Ciani, Gli automi nella storia, viene mostrato con manufatti appartenenti alle diverse epoche, come l’idea di automa sia rintracciabile già nell’antichità attraverso una serie di reperti archeologici risalenti all’antica Grecia. Il percorso propone quindi esempi desunti dalla cultura araba, per poi attraversare gli sviluppi tecnologici che nel nostro paese raggiungono interessantissimi risultati negli studi sulla meccanica di Leonardo da Vinci (presente in mostra l’ala interattiva del Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano).
Proseguendo lungo la direttrice temporale, si arriva all’epoca degli androidi sei-settecenteschi, oggetti meccanici antropomorfi in grado di compiere azioni autonomamente, realizzati sulla scia della tecnologia sempre più complessa e fine, impiegata per il funzionamento degli orologi. In riferimento ai tempi più recenti, la mostra illustra le ultime frontiere nel campo della robotica, esponendone entrambe le direttrici di sviluppo: la creazione di macchine sofisticatissime impiegate in diversi campi, da quello della produzione industriale a quello dell’ingegneria biomedica, e la realizzazione di androidi, macchine antropomorfe nelle quali si può leggere, oltre alla volontà di emancipare l’uomo dai limiti imposti dalla sua natura biologica, anche la sua antica pulsione alla “creazione della vita”.
Inserendosi nello storico dibattito sul rapporto uomo-macchina accennato sopra, l’iniziativa, come dichiara Bruno Corà, Direttore del Museo d’Arte e Coordinatore del Polo Culturale Città di Lugano, nasce dal desiderio e dall’interesse di interrogarsi sul destino di un rapporto, tuttora enigmatico, tra l’essere umano e la macchina, in un frangente in cui il primo ha già da tempo accolto in sé – integrandole – parti meccaniche e la seconda sembra sempre più emulare il corpo fino quasi a volerlo sostituire. La questione posta in questi termini si amplia inoltre nella conseguente domanda: Fino a che punto potrà spingersi una tale relazione in cui una magnetica forza sublime tra desiderio e paura coniuga l’uomo e il suo narcisismo con la creatura meccanica? Corà, che riconosce lucidamente l’incompletezza del percorso espositivo che non ha in alcun modo la prestesa di essere esaustivo, sembra ventilare un possibile spiraglio di risposta, affermando che: Con l’arte si può sapere, molto prima e di più, dove è protesa l’umanità. Con questa consapevolezza la mostra, nella seconda parte presso il Museo d’Arte di Lugano, propone uno sguardo a volo d’uccello sulle diverse esperienze artistiche che, dal Novecento ai giorni nostri, hanno contribuito alla riflessione sulle conseguenze sociali, cuturali e psicologiche della sempre più stretta convivenza con le macchine. Immancabili e prevedibili dunque, le opere risalenti alle avanguardie storiche del Futurismo, con la presenza dei dipinti di Depero, Prampolini e Sironi, del Dadaismo, con esempi della sempre gustosissima poetica duchampiana, del Surrealismo, fino ad arrivare alle creazioni in area Bauhaus, dei fotomontaggi e dei costumi teatrali che trasformano in androidi attori, ballerini e modelli sviscerando lucidissime interpretazioni storicosociali dell’epoca…
Tra le Macchine inutili di Munari e la contemporaneità più ristretta, si posizionano una serie di riferimenti artistici che interpretano la condizione psicologica dell’uomo contemporaneo nel suo continuo lavoro di definizione identitaria messa continuamente in discussione dall’introduzione di ogni nuova tecnologia. Tuttavia pochi sono i riferimenti ad operazioni artistiche che sfociano direttamente nel campo della robotica o più in generale dell’arte elettronica – da sempre lucidamente impegnata nella comprensione e nell’approfondimento delle questioni sollevate dalla mostra. Se si escludono la presenza di Paik, Stelarc, Marcel.lì e di alcuni video realizzati al computer nell’ultima stanza del museo, l’esposizione lascia un sottile senso di incompiutezza ma anche di inquietudine, dato dalla scelta di opere che per lo più riflettono un immaginario non più attuale o velatamente inquietante del nostro rapporto con le macchine. Ad una seconda osservazione della mostra, ci si rende conto che sono soprattutto gli artisti che si sono sporcati le mani con la tecnologia, studiandola a fondo per usarla consapevolmente, criticamente e poeticamente, ad essere in grado di parlarci della nostra natura tecnologica e del nostro tempo, senza suscitare incubi (Ontani) né ingenui entusiasmi (Futurismo).
Da segnalare la serie di iniziative collaterali che hanno arricchito il dibattito proposto dalla mostra come la rassegna cinematografica sul tema e lo spettacolo al Teatro Cittadella, Epizoo e Protomembrana: interattività creativa di e con Marcel.lì Antùnez Roca, fondatore de La Fura dels Baus e sperimentatore nel campo dei bodybots (robot controllati dal corpo) e della sistematurgia (narrazione interattiva con i computer).
Martina Coletti