Ovvero Rob e Christian Clayton. Da non confondere con Jeff e John Clayton, quelli sono gli altri, The Clayton Brothers, i jazzisti. Questi di mestiere fanno i pittori. Vengono da Los Angeles, lavorano assieme dal 1996 e quella da Antonio Colombo è la loro prima personale in Italia.
I Clayton si sono fatti notare nei primi anni Duemila per il loro singolare stile pittorico, un ibrido di muralismo messicano e graffitaro, pittura surrealista e fiaba naif che li ha fatti presto inglobare nella cricca dei cosiddetti “pop surrealisti”, di cui Colombo è un entusiasta mecenate (ha già ospitato molti loro amici, Mike Giant, Tim Biskup, Gary Baseman, tutti da LA e dintorni; ma anche i nostrani Gabriele Arruzzo e Nicola Verlato). Si firmano così, al plurale, perché dipingono a quattro mani su grandi tele affollate e coloratissime in cui narrano la vita di strada alla periferia di Los Angeles. La loro invenzione più felice sono tre curiose installazioni: tre casette di legno completamente ricoperte dalle loro scene allegoriche e tappezzate, all’interno, da decine di piccole caricature di amici, parenti e vicini di casa (e che straordinari disegnatori sono i due fratelli!).
C’è la casa del loro amichetto d’infanzia Tommy (Tim House, 2001); l’ex appartamento di Rob nel barrio spagnolo (I Come From Here, 2004), esposta quello stesso anno ad Art Basel Miami Beach); la lavanderia a gettoni del quartiere (Wishy Washy, 2006). Come nei murales messicani, le scene dipinte dai Clayton sono composte come un’unica, grande scenografia in cui tutti i personaggi si muovono fianco a fianco, tra una confusione di oggetti e creature fantastiche d’ogni tipo impregnati di un simbolismo privato che viene dalla loro infanzia comune. Hanno una simpatia particolare per miserabili ed emarginati, che ritraggono in toni grotteschi alla Otto Dix e George Grosz – di cui si rivedono, in certi volti e posture, i reduci della Grande guerra.
Ora, da Colombo purtroppo si vede poco di tutto ciò. I lavori esposti – una trentina, tutti dalla nuova serie I’m OK – continuano su quella rotta intrapresa da qualche anno che ha visto i due fratelli abbandonare il caratteristico stile naif dalle tinte pastello in favore di una pittura pop dai colori accecanti, fredda e distante. Permane l’impulso narrativo, ma le scene sono statiche, con fondali bidimensionali e vuoti. Il punto d’osservazione s’è spostato fuori dal quartiere. Il tono è cinico. Dov’è finito il disegno, il movimento, l’invenzione, il calore della fiaba? I Clayton erano riusciti a inventarsi un proprio stile riconoscibile, ora rischiano di diventare anonimi. Se un’evoluzione è bene che ci sia, allora ci pare debba andare preferibilmente nella direzione di una All In Due Time – che conserva ed esalta le loro doti grafiche, coloristiche e immaginative – piuttosto che verso una Relax It’s All In Your Head, che ricalca stancamente modelli picassiani.
Anche la casetta non è più una casetta, ma uno stanzino della galleria, rivestito con centinaia delle loro solite caricature. Eppure, nonostante il cambio d’architettura, in questi schizzi e bozzetti dipinti di getto – reali e surreali, aggraziati e mostruosi, informali e fumettistici – ritroviamo i Clayton che ci piacciono.
Stefano Ferrari
Clayton Brothers. I’m OK
A cura di Ivan Quaroni
Fino al 1 febbraio 2014
Antonio Colombo, Milano