Col C’era una volta sono iniziate le favole di ogni tempo e luogo, in cui principesse dai lunghi capelli e dalle lunghe gonne, sarebbero state un giorno salvate e amate da principi prodi, alti e azzurri. Candide e indifese le prime, coraggiosi e leali i secondi sarebbero infine vissuti insieme felici e contenti. Un’ottima lezione di genere per stabilire orgogliosamente chi deve essere, fare, attendersi che cosa dalla vita, evitando confusioni di ruoli e aspettative. Peccato sia nella memoria di tutti che bimbe audaci e impettite interpretino padri di famiglia giocando coi loro coetanei, e che qualche delizioso bimbetto patisca il non poter indossare scarpe col tacco ed orecchini pendenti. Ci si allarma allora pensando che i propri figli non siano ormonalmente a posto, sfociando tuttora nella tragedia qualora, crescendo questi ultimi, non rientrino per gusti e desideri nelle due elementari e sane categorie di sesso. Com’è possibile – ci si chiede – che pur “genitalmente determinati”, ci sia qualcosa che sfugga ad un sistema binario che funziona da secoli e grazie al quale il mondo crea e procrea? Per non parlare di quando a mancare siano proprio le definizioni sessuali alla nascita, nei rari ma pur esistenti casi di bimbi i cui caratteri e attributi non ricadano in toto in uno dei due classici colori da culla: rosa o azzurro. Insomma, sia che i grigi e i viola minaccino il sistema dalla nascita, sia che lo facciano più avanti, in infanzia, adolescenza, età adulta, lo scompiglio è assicurato. Intersessuali, omosessuali e transgender, presentando un’infinità di variabili in quanto a caratteristiche fisiche, “comportamentali”, estetiche e via dicendo, portatori dunque di molteplici modelli di vita, continuano paradossalmente a restare le mosche bianche di uno scenario sociale e culturale ingabbiato in un sistema a due ante: maschio o femmina, rigorosamente eterosessuali. Da notare come in natura l’ermafroditismo, più sporadico nella specie umana, sia piuttosto diffuso tra vegetali e animali invertebrati, testimoniando dunque la “normalità” di una compresenza di entrambe le gonadi -gli organi di produzione delle cellule riproduttive femminili (cellule uovo) e maschili (spermatozoi)- in un unico soggetto, nonché il relativismo culturale cui dovremmo umilmente sottoporre alcuni concetti dati come sacri e imperituri…
Ma torniamo a noi. Nonostante i cosiddetti studi di genere, termine tecnico per definire la branca di ricerca intorno al gender, si siano sviluppati a partire dai cambiamenti concreti, strutturali della società, dibattendo e teorizzando nuovi modelli di convivenza e cercando di rispondere alle evoluzioni e alle rivendicazioni civili e identitarie di chi non si ritrova nel manicheismo cromatico di rosa e azzurro, ci si arena inesorabilmente nel dualismo dei sessi: o di qui o di là. La cultura occidentale, sebbene ora imperniata sulla flessibilità globale di lavoro, mente, emozioni, non è programmata per una flessibilità sessuale e sessuata, o meglio non è disposta ad adattarsi flessibilmente ad un sistema di norme e concetti che non possono rimanere invariati alla luce dei cambiamenti sociali. Partendo dai women’s studies, grazie ai quali dagli anni ‘70 le donne si sono riappropriate della propria voce, dai piccoli gruppi di auto-coscienza del primo femminismo sino al recupero della propria presenza sessuata laddove sembrava non essere mai esistita -in politica, lavoro, arte, nella storia-, la rottura del sistema patriarcale col conseguente crollo dei valori sui quali si era sino ad allora retta l’identità maschile, ha generato dei mutamenti irreversibili in termini di coscienza, psiche e quotidiano. Cosa è nato dai cocci di un plurisecolare “equilibrio” fra i sessi, costruito sul silenzio e la soppressione di uno dei due? Sicuramente un C’era una volta in cui il povero principe ha dovuto rivedere le proprie eroiche imprese, guardandosi allo specchio prima di uscire. Si è trovato a non esser più detentore di castello e cavallo perché lui stesso si è battuto per emanciparsi dal modello dei padri, e si è visto sparire nell’immagine riflessa pure scudo e coraggio, essendosi le principesse evolute da matrigne, merletti e scarpette di cristallo (nel migliore dei casi), da panni, camicie e pavimenti da lustrare nei peggiori, gridando al mondo: stai a vedere, mezzi e passioni per viverti al meglio me li scelgo da me, a partire da me. Forti di una consapevolezza e di un confronto aperto e libero con le proprie simili, decise a prender parola, hanno spiazzato non poco i prodi azzurri, a cui difese e compagne sono mutate nel giro di pochi anni. Da segnalare come la cosiddetta crisi del maschile sia stata studiata, dagli anni ‘80, sempre a partire dall’area anglosassone, da uomini impegnati in una ridefinizione del proprio genere, o meglio, alla scoperta dello stesso. Innominabile perchè invisibile e totalitario, il maschile, a modello del quale è stato costruito il mondo, si è ritrovato nudo, contestato e perciò imbarazzato, fragile, senza più terreno su cui galoppare, a domandarsi se tutto quel carico di doveri e responsabilità, caratteristiche e privilegi, gli fosse davvero cucito addosso a ragione e col proprio consenso. Non è chiaramente tutto qui. Dai pionieri studi sulle donne, si sono aperte ricerche su omosessualità gay-lesbo, transgender, intersesso e teorie queer (letteralmente, sull’indeterminato), che hanno ampliato il panorama di boschi e ruscelli nei quali pretendevano di dimorare i semplici, seppur sempre più complessati, simpatici personaggi -sedicenti- etero. Per la verità, è andando a ripescare nel magico mare del simbolico, che i miti, antenati delle più moderne fiabe, nonchè i sogni, sui quali sarebbe tuttavia impensabile poter disquisire in questa sede, raccontano di sfumature e “passaggi” di genere antichi quanto il mondo e di come essi, meravigliosamente, continuino ad appartenerci. Se Ermafrodito fu il bellissimo figlio di Ermes e Afrodite, che per una ninfa innamorata fuse il proprio sesso a quello di lei, rimanendo per sempre dio e doppio, e l’indovino Tiresia, altro personaggio della mitologia greca, fu trasformato dagli dei prima in donna e poi in uomo, per aver assistito infastidito all’accoppiamento di due serpenti avendone ucciso prima la femmina, e dopo sette anni il maschio, si può vedere come l’aspetto trans-sessuale e androgino dell’essere umano, lo accompagni da millenni. Senza contare che in alcune culture antiche e moderne, il bimbo nato ermafrodita sia la vivente rappresentazione della compresenza degli opposti, e perciò sacro, magico, perfettamente completo.
Ma come ci suggeriscono alcuni studiosi di mascolinità*, anche se la speranza e riflessione è da allargare a qualsiasi soggetto, protagonista e comparsa delle mille e una fiabe ancora da scrivere, parliamo di desideri. Cercando di non dimenticare il valore che alcune parole non dovrebbero mai lasciar scolorire, e abbeverandoci dalle stelle che il vocabolo porta splendidamente con sé (de-sidera):
Ci sarà una volta un tenero frugoletto, che nato da un re e una regina profondamente innamorati ma di dubbia sessualità, crescerà nella sola lezione dell’amore, imparando da rane e rose, molluschi e batteri, umani e scimmie, che è nel rispetto dei sogni di tutti la chiave della felicità e che è guardando attentamente nei cuori di chi non ha paura di dare colore ai propri desideri, quella della libertà.
E vissero finalmente… tutti felici e contenti
Viola Lilith Russi
D’ARS year 49/nr 199/autumn 2009
* spunti bibliografici:
S. BELLASSAI, La mascolinità contemporanea, Carocci, Roma 2004.
S. CICCONE, Parzialità maschile e precarietà della virilità, in Francesca Brezzi Giovanna Providenti (a cura di) Spostando mattoni a mani nude – Per pensare le differenze – FrancoAngeli, Milano 2003.
M. DERIU, Congedarsi dal patriarcato abitare il desiderio, in Francesca Brezzi Giovanna Providenti (a cura di) Spostando mattoni a mani nude – Per pensare le differenze – FrancoAngeli, Milano 2003.
M. DERIU, Tra ferocia e tenerezza – Percorsi del desiderio maschile, in La tenerezza del corpo, “Alfazeta” anno VIII n. 3-4, Maggio-Settembre 1998, Panocchia (Parma).