Reflections, la mostra composta da undici installazioni di Bill Viola, realizzate tra il 1978 ed il 2008, anima le gli interni di Villa Panza a Varese per tutta l’estate ed oltre, fino al 28 ottobre 2012. L’evento è a cura di Kira Perov, collaboratrice, compagna e fotografa di fiducia dello stesso Viola e si articola lungo un’ala al primo piano della Villa fino alle ex Scuderie, in stretto dialogo con l’ambiente raffinato e impeccabile della collezione Panza.
Le installazioni sono distribuite all’interno di piccole stanzette, anfratti trascurati dal noto percorso espositivo della Villa che vanta i più grandi artisti dell’arte astratta/minimalista/ambientale americana, per sorprenderci con le visioni mistiche di Viola, dove la tecnologia è al servizio dell’anima. Voci, suoni e immagini riecheggiano nelle stanze di questa residenza d’epoca, luogo in cui solitamente regna indisturbata la quiete della perfezione formale di Flavin, Turrel e tanti altri. L’uomo è l’assoluto protagonista degli undici lavori di Viola, che controbilanciano magistralmente la sua assenza nelle opere permanenti. I punti di riferimento dell’artista sono evidenti: la rappresentazione scenica teatrale, ma priva di retorica in cui il soggetto umano è il personaggio principale, l’importanza dell’ambientazione spaziale, come riflesso dell’esperienza intima, la riflessione sul senso della vita, che viene percepita attraverso il ciclo naturale delle cose: nascita-morte, età generazionali, il tempo dilatato della natura. Riflesso e riflessione, dunque, in inglese: reflections. Ecco il perché di tutta quell’acqua, che si manifesta nella quasi totalità delle opere coinvolte. L’acqua diventa una superficie riflettente, come in Reflecting pool (1979), dove il protagonista si specchia nel bacino ai suoi piedi, a volte si ritrova, altre si perde, si trascura, si indaga, si osserva e contemporaneamente nuove ombre di diverse identità si manifestano nella piscina. Penso al mito greco di Narciso, che utilizza questo elemento naturale come uno prolungamento di se stesso, con l’epilogo tragico che tutti conosciamo. Lo specchio può ingannare, ma questo dipende dal soggetto che guarda, dalla nostra capacità di osservare, di viaggiare dentro di noi. Lo stesso Viola si esprime così: Una delle caratteristiche degli esseri viventi è di possedere molti io, identità molteplici fatte di momenti contraddittori e capaci di trasformazioni all’istante. Questo per me è la cosa più eccitante del lavoro di artista. Mi ha insegnato che il vero materiale grezzo non sono la telecamera o il monitor, ma il tempo e l’esperienza stessa e che il vero luogo in cui esiste l’opera non è la superficie dello schermo, ma la mente e il cuore della persona che osserva. E’ la che tutte le immagini vivono.
L’interiorità gioca quindi un ruolo essenziale e l’acqua potrebbe essere intesa anche come metafora freudiana dell’inconscio, della madre primordiale, di immersione profonda in uno stato diverso dalla coscienza, nel sogno, nei meandri dei nostri ricordi. In Eternal return (2000)assistiamo al volo di un uomo che “cade” da sotto in sù in un mare notturno, attraversando in verticale due schermi al plasma. Il suo tonfo suggerisce il nostro viaggio onirico dove campeggia un sole rosso innocuo, come la coscienza sopita. In The sleepers (1992), l’associazione acqua-sonno è ancora più evidente, in quanto l’installazione è composta da sette barili di metallo che occupano una stanzetta rischiarata da una luce azzurrognola; sul fondo di ciascuno di questi, scopriamo un video che custodisce i visi di “dormienti”, immersi nell’acqua cristallina. Orrido e bellissimo il video Nantes Triptych (1992), dove Viola infila una accanto all’altra tre video-proiezioni gigantesche che mostrano contemporaneamente la nascita del figlio e l’agonia della madre morente, divisi dall’immagine di un uomo sott’acqua, come nel limbo della vita prenatale. Questo è il confine tra la nascita e la morte che passano entrambi attraverso uno stato “liquido”: l’ambiente della placenta materna e lo stato di una coscienza “altra” che precede di pochi minuti il passaggio nella morte. Si tratta di una reminiscenza personale di Viola (è lui l’uomo che si dimena sotto la superficie acquatica) che viene trasformata in un’esperienza universale e cristallizzata in un’icona, una triade di predelle nelle pale medioevali. A Viola non sfugge, infatti la tradizione pittorica italiana, in particolare, l’interesse per la purezza formale, il rigore cromatico, del primo Quattrocento. Affacciandoci allo stanzino di Emergence (2002) assistiamo sorpresi alla rivisitata Pietà di Masolino da Panicale a Empoli (che sappiamo lavorò non lontano da lì, a Castiglione Olona, nella provincia di Varese). Riconosciamo la stessa composizione simmetrica, la stessa tavolozza, lo stesso tema medievale del sepolcro, ma in “chiave contemporanea”: nel video la Madonna è una donna distrutta e scompigliata, Maddalena appare sensuale e innamorata, mentre Cristo ceruleo e nudo, emerge miracolosamente dal Sepolcro colmo di acqua che continua a sgorgare incessantemente. Ancora acqua. Questa volta come simbolo della Resurrezione, di nuova vita per i Giusti e di Redenzione per tutti gli altri, se è questo che cercano… come suggerisce il titolo del lavoro Ablutions (2005). Qui ritroviamo una persona intenta alla pratica delle abluzioni, che secondo alcune pratiche religiose, prevede un processo di introspezione e di purificazione attraverso la lavanda del corpo. Acqua dunque, che si fa elemento purificatore e purificante, acqua come elemento primordiale, come l’inizio e la fine del Tutto.
Morena Ghilardi
D’ARS year 52/nr 210/summer 2012