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Beppe Devalle. Il ritorno al disegno

“Solo verso i 40 anni mi sono/ accorto che se non avessi/ affrontato la pittura/ vale a dire dipinto/ con le mie mani/ un quadro dove il problema/ era fare rivivere il passato/ il mio passato, rievocare/ ritrovare un’impossibile gioia/ dove anche le cose tristi,/ ri-presentandosi, mi creavano/ una sensazione di ‘senso di vita’./ Dal 1980 ho iniziato la mia attraversata/ del deserto./ Disegno/ deux crayons/ trois crayons/ matite colorate/ pastello/ olio/ acrilico/ poi/ poi/ sino al 1992/ quando sono arrivato a Pessano/ via G. Galilei 12/ Olé!” (1)

Beppe Devalle, Happy times, 2004
Beppe Devalle, Happy times, 2004

Dopo essersi reso conto che il collage fotografico, con cui aveva lavorato e sperimentato per una decina d’anni, aveva esaurito le sue possibilità espressive, nei primi anni ottanta Beppe Devalle (Torino 1940 – Milano 2013) comincia a coltivare un nuovo filone creativo: il disegno dal vero a mano libera. E, se nella sua aula a Brera (dove insegnava sulla cattedra di Pittura dal 1980) aveva fatto ritornare la modella, sulla quale intendeva concentrare gli esercizi grafici dei suoi studenti, nei suoi lavori inizia a prendere forma una serie di nature morte di straordinaria eleganza, perfezione e fascino. Il rigore formale con cui disegna a matita gli oggetti, che poi riempie con un delicato velo di colori a pastello, è completamente diverso da quelle strutture a greche e losanghe che aveva dipinto, tra il 1961 e il 1962, con i pastelli a cera. Ora, nelle sue composizioni ci sono disciplina, ordine e un realismo estremi. Gli oggetti più disparati si stagliano su uno sfondo rigorosamente bianco e asettico: giocattoli, lampade, vasi, piante, ma anche fotografie, libri e immagini che rimandano a quei ritagli che prima prendeva direttamente dalle pagine delle riviste e che ora ricrea con l’ausilio delle matite. La scrupolosità analitica con cui rende i dettagli e le cose è impressionante, degna dei grandi mastri che, negli anni, aveva deciso di prendere ad esempio: da La Tour a Rosalba Carriera a Liotard, ma anche l’intera Nuova Oggettività tedesca, da Schad a Grosz a Dix.

Devalle, Ebony, 1966-1967
Devalle, Ebony, 1966-1967

Non tutti i piani delle cose, però, sono interessati da quella “garza” policroma, alcune porzioni esistono solo grazie alla matita che ne traccia il perimetro lasciandone le superfici senza materia, trasparenti e spettrali, pure presenze tra sottili e variopinti intrecci. È come se, per qualche strano incantesimo, gli oggetti prendessero vita e colore col passare del tempo, facendosi faticosamente strada tra quell’abbagliante luce bianca. Evocazioni e ricordi si mescolano a citazioni culturali e a indizi di cronaca; piccoli oggetti ingombrano i piani (lampade, forbici, matite, righelli, occhiali, piante, soprammobili) e si uniscono alle copertine di libri, a fotografie, a disegni e a qualche sgabello d’atelier o oggetto domestico (ad esempio un’aspirapolvere). Con l’arrivo degli anni novanta la fisionomia del lavoro subisce un’ulteriore evoluzione: il pastello si affianca al collage e il formato esplode “in una prepotente e sfacciata teatralità”(2). Palestra, con due giganteschi pugili e due enormi figure femminili di matrice picassiana o matissiana, ne è un esempio. Per ora la carta è ancora il terreno su cui i segni si rincorrono, ma con il nuovo secolo Devalle deciderà di sostituirla con la tela e di metrature colossali (Last supper). Disegno e colore adesso coincidono, le immagini si smaterializzano e gli oggetti lasciano il posto ai volti del jet set internazionale: Wharol, Cattelan, Kate Moss, Baselitz. Un percorso che è ben raccontato nel bel catalogo monografico, edito da Electa in occasione della retrospettiva al Mart, e che dagli esordi arriva fino alle ultime opere. “Cosa vuol dire pastello per me oggi? – chiarisce Devalle nel 2010 – Significa poter correggere, cancellare, modificare con poche tracce la grande tela come fosse un foglio da disegno. Se si domina la scena dal punto di vista non solo del soggetto, ma anche da quello pittorico e si sa semplificare, il pastello è fantastico perché con uno straccio, alleggerendo e quindi fondendo, schiarendo, tutto a secco, si può arrivare a una leggerezza esecutiva che rende vecchio il mondo della pittura a olio(3)”.

Devalle, Diego as..., 1981
Devalle, Diego as…, 1981

L’ultima opera eseguita dall’artista nello studio di Pessano è un grande pastello datato 2012 e intitolato Welcome!. Ancora una volta è difficile dire cos’è davvero presente e cos’è irrimediabilmente passato. Eppure, questo scorcio sull’aldilà, con il ritratto dei suoi genitori ormai anziani, chiude quel cerchio di vita e di lavoro che per decenni lo aveva portato a perlustrare (speso in modo solitario, atipico e lontano dalle tendenze ufficiali) tutte le possibilità del disegno e del pastello per registrare la vita, più che la storia o il semplice dato oggettivo.

“Mi chiedo se sono, se sarò giudicato un pittore di storia. Non voglio essere omologato dal passato, anche se mi sono formato nel museo. Il dramma del presente è sotto gli occhi di tutti. Lavoro inventandomi e usando dei soggetti che mi portano in dote tutta la loro drammatica vita.” (Beppe Devalle)

1.B. Devalle, in Devalle (1940-2013), catalogo mostra, Mart, Rovereto 16 ottobre 2015-14 febbraio 2016, Electa, Milano 2015, pp. 37-38.
2.E. Crispolti, Se l’arte è come un rock, “L’Unità”, 23 novembre 1992.
3.B. Devalle, in Devalle (1940-2013), catalogo mostra, Mart, Rovereto 16 ottobre 2015-14 febbraio 2016, Electa, Milano 2015, p. 252.
4.B. Devalle, in Devalle (1940-2013), catalogo mostra, Mart, Rovereto 16 ottobre 2015-14 febbraio 2016, Electa, Milano 2015, p. 61.

Lorella Giudici

D’ARS anno 56/n. 222/primavera 2016

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