jesus è il nome del fidanzato di madonna
jesus è un paio di jeans
jesus è una miniserie televisiva
jesus gioca nell’inter
jesus tifa per suor cristina
jesus è il miglior amico del grande lebowsky
jesus è l’uomo più famoso del mondo
jesus lo conoscono tutti
jesus è di tutti
tutti per jesus
jesus per tutti
(….) Babilonia Teatri
Loro sono così. Prendere o lasciare, come ciò che rassicura perché ritrovato. Una superficie di retorica, luoghi comuni declamati, incalzanti elencazioni di stereotipi. E sotto una pasta sempre più morbida di dubbi esistenziali, domande senza risposte e sottile ironia che rende il “teatro di ricerca” sopportabile. A volte la crosta si crepa e la tenerezza emerge, in prima persona.
È successo con Jesus, ultimo lavoro di Babilonia Teatri a chiudere il cartellone dell’Altro Teatro al Camploy. Chi chiede a Valeria Raimondi ed Enrico Castellani di andare avanti (e oltre quel riconoscibile linguaggio Pop) dovrà cercare il nuovo negli effetti che gli eventi hanno prodotto nel duo. La maternità, la maturità stilistica, ad esempio. La prima ha smussato alcune punte aggressive aumentando però il tasso di soggettività e quindi di gratuità di alcune affermazioni e il rischio populista. La seconda ha trasformato in immagini compiute alcune intuizioni nate come esperimenti.
Ora s’intuisce con più convinzione che il lavoro passa sempre dall’emozione e preferisce l’approccio emotivo a quello analitico. L’emozione di santini fatti svolazzare nella platea gremita, il nome al neon di Jesus e quell’agnello appeso che tanto ci ricorda l’immagine pittorica dell’Agnus Dei di Zurbaran (citata anche sulla copertina di Caino di Saramago). La conoscenza del “problema Gesù” non è richiesta, Valeria Raimondi ci mette la faccia e i suoi dubbi, così, senza pretese filosofiche, né tanto meno teologiche.
Il problema è piuttosto il linguaggio e il suo abuso. Ci dice, come già fece Pasolini, che preferisce “le chiese di pietra” e un “paradiso per tutti”, citando l’operazione Living Theatre con quel profetico Paradise now. La crosta invece è pop: primo perché cita se stessa. La musica ad alto volume, la declamazione a microfono ci riporta agli spettacoli precedenti Pinocchio e Lolita, l’agnello appeso pure. Là erano teste di animali, crocefissi (una ossessione?), qui il simbolo di Dio sopra trenta chili di patate. Poi è pop perché, come diceva Andy Warhol per la serie crash, quando si è nauseati dall’onnipresenza dell’immagine basta diffonderla ulteriormente. E ancora è pop nella scelta del ritmo e dello stile con cui render assordante le anafore, i chiasmi e il ritornello “Jesus” che scivola dalla moda alla musica, dalla pelle di un tatuaggio all’immagine di quel bambino e del presepe che tanto ci ricordano Natale in casa Cupiello.
In questa babilonia di suggestioni visive e comandamenti martellanti, pieghe di tenerezza allentano la morsa della retorica. Pensiamo alle domande del piccolo Ettore che chiede e ci chiede del mistero della morte, e a una madre che non sa cosa rispondere. Quelle domande all’insù, autobiografiche, in una ideale via crucis a tappe di conoscenza, valgono più dei personal jesus, danno verità al gioco creativo di intrecciare l’agnello di Dio con quello che voracemente viene consumato nelle pasque borghesi.
Simone Azzoni
Jesus
Babilonia Teatri di Valeria Raimondi, Enrico Castellani, Vincenzo Todisco con Valeria Raimondi ed Enrico Castellani
6 marzo: Laboratori delle Arti/Teatro, Bologna
11 marzo: Teatro Camploy – Cartellone L’Altro Teatro, Verona
13 marzo: Teatro al Parco, Parma
10 aprile: Città del Parco, Cascina
5-10 maggio: Elfo Puccini, Milano
23 maggio: festival SEGNALI EXPERIMENTA, Urgano (BG)
Teatro al Parco, Elfo Puccini, Città del Parco,