Avatar, in sanscrito, significa disceso (ava) sulla Terra (tara). Gli avatar, nella tradizione vedica, sono le manifestazioni in forma umana della divinità suprema. Quello che rappresenta in fondo l’idea di Cristo fattosi uomo nella religione cristiana, ma che oggi nel linguaggio comune, soprattutto dopo l’avvento di Second life, pare identificarsi semplicemente con il concetto di alter ego. Una sorta di sosia, di replicante identico o eroico di una persona qualsiasi, non quindi una divinità incarnata, come da origine etimologica.
Mi sembra che sia questo il senso attribuito da James Cameron al titolo del suo film AVATAR, appunto, che narra lo “sdoppiamento” del marine americano Jake Sullivan durante la sua vita (e poi rinascita) sul pianeta alieno Pandora. La trama è molto semplice. Siamo nel 2150 circa, gli americani (cattivi) assetati delle preziose risorse minerarie di Pandora vogliono sterminare gli indigeni (buoni) a suon di bombe. L’ultima speranza di preservare il pianeta è riposta in Jake che, attraverso il suo alter ego “autocotono”, ha fortunosamente allacciato un rapporto di fiducia con i Na’vi. La storia si evolve grazie alla redenzione del protagonista. ll vuoto, sciocco marine devoto agli ordini dei superiori si trasforma in un condottiero coraggioso e ribelle al servizio dei Na’vi, di cui riconosce la superiorità etica, stringe sinergie con la fauna eco-tecno di Pandora, supera tutte le prove di iniziazione, fino a raggiungere la cerimonia di investitura a “uomo” (Na’vi chiaramente). Niente di nuovo insomma, abbiamo una versione psichedelica del piccolo ingenuo Mowgli (se ci si fa caso persino l’ironia di certe battute di Jake ricordano quelle del personaggio waltdisneiano) allevato nella giungla da una specie diversa (le tigri) che permette la metamorfosi del goffo ragazzino in una sorta di abile Tarzan.
Di fatto è quello che accade a Jake nella scena finale dopo aver sconfitto i terrestri: l’ex soldato lascia il proprio corpo per rinascere Na’vi, risvegliandosi con un bacio della compagna memore della Bella addormentata nel bosco; solo che ora il principe è lei, l’affascinante Pocahontas aliena. Ovviamente questa trasposizione della trama sugli schemi della favola waltdisneiana è in parte provocatoria, AVATAR non è solo un aggiornamento cinematografico di Alice nel paese delle meraviglie, è nel complesso un bel film, dove è possibile cogliere numerosissimi spunti a livello filosofico, scientifico, filo-ecologico, nella scelta del linguaggio, nella stupenda, meravigliosa, strabiliante scenografia.
Ma, soprattutto AVATAR è un’esperienza sensoriale unica, godibilissima grazie alla sua tecnica di visione, il 3D che ci permette di vivere intensamente l’esperienza del film, sforando lo spazio circoscritto dello schermo per avvolgerci fisicamente. Tanto che, per quanto mi riguarda, il mio corpo ha reagito autonomamente agli stimoli visivi, vivendo il senso di vertigine durante le arrampicate “in libera” dei Na’vi sulle montagne fluttuanti, partecipando alle loro folli corse sugli alberi, sentendo il cuore in tachicardia nei combattimenti corpo a corpo.
Eppure, a me questo non basta. Ripensando al film fuori dalla sala, ho percepito un senso di fastidio per il messaggio passato attraverso il “percorso guidato in 3D” delle mie emozioni… Io dovuto stare dalla parte di Jake, piangere con lui, amare con lui, istigare alla lotta con lui e questo non mi piace, perché lo sento come una coercizione. Non solo, mi obbliga ad appoggiare inconsciamente la politica di pensiero americano della “guerra giusta” che persevera ai giorni nostri, alla quale non si è sottratto nemmeno il nuovo Presidente Obama nell’affrontare le questioni aperte in Afghanistan e Iraq.
Come dire, mi sono sentita vittima di una manipolazione emotiva che doveva sfociare in una determinata presa di posizione etica, una forma strisciante e perversa di propaganda ideologica…
Come dicevo in principio, il nostro avatar non è una divinità, bensì un uomo qualsiasi, semplicemente dotato di un coraggio che lo mette in condizioni di essere il prescelto. E’ il concetto profondamente americano secondo il quale ognuno di noi è speciale e può salvare il mondo se gli si offrono le opportunità giuste, idea che facilita l’identificazione con il protagonista. Nella storia diegetica per Jake i segni non tardano ad arrivare: l’occasione è Pandora che lo stigmatizza con i semi dell’albero sacro per far presagire ai Na’vi il suo ruolo di makto, in linguaggio Na’vi: guidatore-quindi condottiero. E guarda caso, si tratta proprio di un americano venuto ad insegnare ai nativi come si vive…Una storia vecchia, che si ripete da secoli anche se in condizioni spazio-temporali differenti. Gli yankee hanno insegnato agli indiani d’America che cos’è la cultura, hanno insegnato ai comunisti vietnamiti che cos’è la libertà, hanno insegnato all’Iraq che cos’è la democrazia, utilizzando sempre lo stesso mezzo: l’occupazione sanguinaria fino alla conquista tramite l’infiltrazione ai vertici del potere. Dal passato ad oggi, in tutte queste operazioni militari si sono impossessati dei territori mostrandosi come “paladini del bene”, (mediaticamente parlando), impegnati nel “riqualificare politicamente” le società autoctone. E come se nelle gesta di Jake, nel linguaggio spiccio di incitamento alla guerra, mi è sembrato di percepire quelle giustificazioni patetiche americane di guerra necessaria…
Certo Cameron ci mostra già un gruppo soverchiatore nel film: è la compagnia terrestre senza scrupoli che vuole affettare Pandora per puro profitto economico. E’ impossibile per lo spettatore parteggiare per lei, la cui campagna aliena è guidata da un generale pazzo, il cattivo per eccellenza, senza introspezione psicologica, senza possibilità di redenzione. Mentre Jake è il suo contro-altare il vero eroe, il buono, colui che si evolve, che ama, che si fa carico di una nuova identità. E questo ci piace, grazie al 3D è facile vedere attraverso i suoi occhi, eppure purtroppo, Jake non è diverso “dai cattivi”, perché ripropone lo stesso modus operandi. E’ la guerra, che sia giusta o una barbarie dipende solo dai punti di vista e in questo caso Jake adotta essenzialmente quello dell’attuale politica estera americana. Probabilmente se Gandhi, induista, fosse ancora vivo inorridirebbe all’idea che quell’avatar ha indicato come via di salvezza ad un popolo alieno evoluto, esattamente quelle dinamiche di violenza reiterate per secoli sulla Terra. A questo punto, a mente lucida, rimpiango sinceramente l’umiltà di Bastian, le metafore semplici ma preziose del film fantasy La storia infinita (1984), il quale ci offre una soluzione diversa all’avanzare del Nulla (vero nemico di tutti noi): l’unica redenzione possibile per l’uomo parte dalla fantasia, dal creare un’alternativa… Cameron, forse avresti dovuto osare di più.
Morena Ghilardi
D’ARS year 50/nr 201/spring 2010