A POCHI MESI DI DISTANZA dalla realizzazione della copia del telero de “Le nozze di Cana” del Veronese, esposto al Louvre e oggi anche nel suo originale contesto architettonico all’interno del refettorio dei frati benedettini sull’isola di San Giorgio a Venezia, torna alla ribalta il nome di Adam Lowe e del team di Factum Arte, composto da artisti, operatori e tecnici che si occupano della trasformazione digitale e della produzione di opere in due e tre dimensioni per artisti, per musei o in occasione di speciali progetti. Come in questo caso.
L’idea di un possibile dialogo tra pittura e cinema è di Peter Greenaway, che dopo il successo ottenuto con l’intervento realizzato al Rijksmuseum di Amsterdam su “La Ronda di Notte” di Rembrandt ha deciso di proporre come soggetto di un’ulteriore tappa di questo lavoro uno dei capolavori di Leonardo. Greenaway, regista gallese e sperimentatore della settima arte, voleva reinterpretare “L’Ultima cena di Leonardo” proiettando delle luci sulla superficie del dipinto e diffondendo al contempo musiche, parole e suoni nello spazio del Refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano. Essendo però il dipinto sottoposto ad un rigido protocollo di tutela e conservazione, per preservarne la fragile integrità, si è dovuto pensare ad un sistema alternativo, ad una diversa possibilità che consentisse la realizzazione dell’opera di Greenaway senza arrecare danni al capolavoro di Leonardo.
Adam Lowe ha pertanto realizzato una copia assolutamente identica dell’Ultima Cena, ha riprodotto il dipinto mantenendone le dimensioni originali e rispettandone le caratteristiche della superficie pittorica. Unendo le scansioni tridimensionali realizzate dall’Istituto Centrale per il Restauro di Roma e le fotografie ad alta risoluzione realizzate da HAL9000, egli ha “clonato” l’opera di Leonardo grazie alla moderna tecnologia, utilizzando una stampante ad hoc che ha permesso una stesura degli strati di colore e delle tonalità originali del dipinto su una superficie pittorica analoga a quella preparata dal maestro rinascimentale. Questo clone è poi stato inserito all’interno di una ricostruzione tridimensionale del Refettorio di Santa Maria delle Grazie, posta all’interno della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano, andando a ricreare in tal modo il contesto nel quale l’opera si trova e col quale dialoga, l’ambiente per il quale è stata pensata e costruita, attraverso una sua nuova ri-costruzione reale, fisica, materica.
Anche questa volta si tratta di una duplicazione perfetta e perfettamente confondibile con l’opera originale, una duplicazione che vive una propria vita di luci e suoni, che coinvolge i visitatori quanto una performance teatrale. Lo spettacolo dura poco meno di mezz’ora, ma sembra molto di più; l’osservatore-spettatore viene come trasportato in uno spazio diverso da quello che gli appare non appena passa sotto l’arco di ingresso alla sala, egli fa correre gli occhi senza sosta dal dipinto alla controfacciata dell’ambiente costruito all’interno della Sala delle Cariatidi, alla tavola in gesso imbandita con piatti bicchieri e pane posta al centro dell’ambiente, riproduzione fedele e tridimensionale di quanto Leonardo ha dipinto nell’affresco, anch’essa illuminata e protagonista dello spettacolo.
L’opera di Greenaway sembra dimostrare ancora una volta la grande importanza che il capolavoro di Leonardo riveste all’interno della cultura figurativa occidentale, fonte di ispirazione continua non solo per scrittori di romanzi gialli ma soprattutto per artisti e per performatori d’arte, come già fu per Franz Fischnaller. Questi, alla ricerca dell’”integrazione di tecnologia, comunicazione, architettura, arte e design e che parallelamente affrontava problematiche relative all’interfaccia uomo-macchina”(1) , ha lavorato ad un work in progress dall’emblematico titolo “L’Ultima Cena Interattiva”, con lo scopo di realizzare un viaggio nel capolavoro leonardesco utilizzando la realtà virtuale, per indagare la relazioni esistenti tra l’architettura reale e quella dipinta.
L’originale, ma anche la sua perfetta copia, il suo clone, o comunque si voglia chiamarlo, nessuno dei due sembra perdere, attraverso questa operazione di riproduzione e rilettura cinematograficoteatrale nulla dell’aura di benjaminiana memoria. Anzi, sembrano entrambi guadagnare da tutto questo nuova vita e nuova forza. La luce che illumina zone specifiche del dipinto, particolari di corpi e oggetti, la musica che in un crescendo di volume e pathos trasporta lo spettatore all’interno dell’opera d’arte, la perfetta riproduzione fotografica dell’affresco. Tecnica e tecnologia che non soltanto consentono di riprodurre l’arte, ma che le aggiungono un quid in più, rendendo la nuova opera un’opera essa stessa, qualcosa di unico e allo stesso tempo riproducibile e ripetibile, con una nuova aura.
Martina Ganino
(1) Pier Luigi Capucci, F.A.B.R.I.CATORS, in «Domus», n.792, aprile 1997