La Cape Town Art Fair, svoltasi lo scorso febbraio, è stata un’occasione per scoprire i nuovi talenti emergenti di un’Africa in cerca di identità. L’arte africana contemporanea ripensa il rapporto con l’occidente, tra tradizione e spinte consumistiche
Curiosando tra gli spazi della sezione Todays and Tomorrows, dedicata dal curatore Thumelo Mosaka ad artisti africani ancora poco conosciuti, si incontrava un’Africa che riflette sulla propria identità e che critica e ripensa il proprio rapporto con l’Occidente e con la tradizione, chiamata a convivere con le dinamiche frenetiche del consumo in cui la società africana è stata più o meno catapultata. Gli uomini di Pedro Pires si scompongono e scompaiono nelle molecole di polvere da sparo; materiali di recupero e oggetti dimenticati, sepolti dalla terra, vengono trasformati e ricomposti con una ritrovata armonia nelle opere di Sandile Zulu.
Proprio la terra e le sfumature di grigio che la uniformano al pallore del cielo estivo, la polvere, le pietre, sono protagonisti nelle foto di Thabiso Segkala. In questi paesaggi che dovrebbero essere disabitati vivono e lavorano i minatori di Rustenberg. L’artista, intitola sarcasticamente la serie Second Transition, (2013) denunciando il fallimento di quella prima transizione economica e sociale che avrebbe dovuto trasformare la vita di molti minatori neri dopo la fine dell’apartheid. La storia e la politica del Sud Africa emergono spesso in molte delle opere degli artisti sudafricani contemporanei.
E’ anche il caso di Ralph Ziman, street artist, regista, scrittore e produttore, che in collaborazione con artigiani di Johannesburg ha ricostruito AK-47 e ricoperto con perline colorate Casspir, i famigerati mezzi corazzati simbolo dell’oppressione poliziesca durante l’apartheid. Le opere, fotografie e installazioni, richiamano il rapporto duale di terrore e rispetto con cui molte popolazioni africane si approcciano alle armi. La serie per l’artista rappresenta una protesta contro il traffico e la diffusione di armi nel continente, di cui il Sud Africa è tristemente promotore e protagonista.
Le dinamiche del commercio internazionale attirano poi l’attenzione dell’artista ghanese Serge Attukwei Clottey, il quale osserva il processo di migrazione e trasformazione delle taniche di plastica usate in Africa per trasportare benzina e acqua. Le taniche, prodotte nei Paesi industrializzati, sono facilmente reperibili e di grande importanza per molti africani. Clottey ne riutilizza il materiale di base per realizzare un tessuto, un oggetto totalmente differente, destinato ad essere restituito al mittente in altra forma. L’arte diviene pienamente parte di questa trasformazione di oggetti migranti e del loro valore. Il rapporto con l’Occidente è quindi osservato nelle dinamiche di trasmigrazione delle merci, della loro compravendita e dei disequilibri da esse prodotti. Lo stesso materiale è acquistato a poco prezzo in Africa e in Occidente viene venduto in forma di opera d’arte e quindi con un paradossale, nuovo, valore aggiunto.
Il pittore tunisino Slimen El Kamel è invece interessato ai processi legati agli esseri umani. Nella sua opera Rives et Dèrives, (2016), la tela è uno spazio di convivenza tra individui provenienti da luoghi lontani, specie differenti, tempi passati e presenti e l’essere umano è al contempo frutto e attore di questa coabitazione. Ad ogni atto corrispondono diversi effetti che si sviluppano in una storia. Come le nonne tunisine, la tela racconta queste storie avvolta nel foulard che le fa da cornice, con tutti i micro e macro protagonisti che emergono da infiniti tratti finissimi di acrilico.
Pedro Pires, Sandile Zulu, Thabiso Segkala, Ralph Ziman, Serge Attukwei Clottey, Slimen El Kamel, sono solo alcuni degli artisti che compongono il panorama dell’arte africana contemporanea, una buona parte lavora al di fuori dei circuiti fieristici e delle gallerie. Molti degli artisti presentati alla fiera usano pratiche e meccanismi ben assodati, sono stati formati in Europa e spesso in essi possiamo intravedere qualcosa a noi conosciuto. Il curatore Thumelo Mosaka afferma che spesso gli artisti hanno una forte influenza occidentale, dovuta soprattutto alla loro formazione; nelle loro opere esprimono la fusione tra quello in cui credono e vivono nel loro paese di origine e quello che apprendono in seguito.
Le società moderne africane sono dotate di un fermento artistico culturale che si sviluppa anche attraverso collettivi e associazioni autogestite, che nascono per sopperire alla mancanza di appoggio istituzionale e alle lacune nelle formazione artistica locale. L’immagine erronea che l’Occidente ha sviluppato di questo continente andrebbe riformulata. Le società africane non sono solo spettatrici passive di dinamiche esogene o produttrici di migranti aggrappati ad una barca, bensì mondi pienamente presenti a sé stessi, dotati di energia creativa e tagliente pensiero critico.
Giulia Riedo