Si è mai vista un’anteprima senza proiezione del film? Eccovi serviti. A Palazzo Reale, a Milano, il regista israeliano Amos Gitai ha allestito una mostra che racconta al pubblico il suo nuovo lungometraggio, Carpet – di cui non sono ancora iniziate le riprese – attraverso una spettacolare installazione multimediale e la pubblicazione della sceneggiatura in versione integrale. Una vera chicca per tutti gli amanti del cinema e dell’arte contemporanea.
La scelta di Palazzo Reale quale location della mostra è venuta naturale. Da tempo il museo faceva la corte a Gitai per un progetto destinato alla Sala delle Cariatidi, già sede negli ultimi anni di diverse mostre di artisti contemporanei a sfondo cinematografico: dall’Ultima Cena di Peter Greenaway, a Women without Men di Shirin Neshat, al Ciclo di Arhat di Takashi Murakami, accompagnato dalla proiezione del suo primo lungometraggio Jellyfish Eyes. E poi, Carpet è legato a doppio filo – è proprio il caso di dirlo – a due amici milanesi: Gabriele Basilico, conosciuto vent’anni fa quando era in Israele per fotografare gli edifici progettati da suo padre, Munio Weinraub (1909-70), architetto del Bauhaus (cui è dedicata la mostra e in particolare la prima sezione con il film Lullaby to my father), e l’antiquario e collezionista di tappeti antichi Moshe Tabibnia, ispiratore della storia raccontata nel film.
Nel 2003, Tabibnia volava da Milano in North Carolina, dove aveva adocchiato un tappeto, mal datato e sottostimato dalla casa d’aste che lo stava mettendo all’incanto. Si trattava infatti di un raro e prezioso manufatto anatolico del XVI secolo. Dopo una lotta all’ultima offerta con altri compratori che avevano fiutato l’affare, Tabibnia riuscì ad aggiudicarselo e a quel punto la scoperta del vero valore divenne di dominio pubblico. La notizia arrivò anche alle orecchie di Gitai, che proprio in quel periodo stava pensando a un film che seguisse a ritroso la vita di un tappeto orientale, dal suo attuale possessore, indietro fino al tempo della sua realizzazione, seguendo le vicende dei diversi proprietari e dei loro paesi. Di lì a poco, i due si conobbero e il resto, come si suol dire, è storia.
A Milano, Carpet è raccontato attraverso un elegante allestimento che trasforma la Sala delle Cariatidi in una sala cinematografica, con altoparlanti e film (Esther; The Book of Amos) proiettati direttamente sui muri e sulla volta, tra cui sono esposte le fotografie del viaggio di Gitai tra Turchia e Azerbaigian alla ricerca dei luoghi delle riprese e una selezione di tappeti antichi della collezione di Tabibnia. Un’opera totale, nella quale si mescolano felicemente linguaggi espressivi diversi; in cui le strade (sottotitolo della mostra) percorse da Gitai, da suo padre, da Basilico, da Tabibnia e dagli artigiani mediorientali, si intrecciano come i fili nell’ordito dei tappeti, che si trasformano sotto i nostri occhi in oggetti carichi di storia e cultura, nei quali si fondono memoria personale e collettiva.
L’altra imperdibile chicca della mostra è il catalogo triplo pubblicato da Giunti Arte mostre musei in coedizione con Moshe Tabibnia Milano: il primo volume, Lullaby to my Father, è dedicato a Munio Weinraub (di cui Gitai è la traduzione in lingua ebraica) e ne ripercorre la vita e le opere; il secondo, Talking to Gabriele, riporta la trascrizione inedita della lunga chiacchierata che Gitai ha avuto con Basilico a Venezia il 28 agosto 2012, pochi mesi prima della morte del maestro, illustrata dalle bellissime immagini del reportage realizzato nel 2006 per Domus nei luoghi di Free Zone, uno dei film più noti di Gitai; il terzo libro, Carpet, contiene la sceneggiatura e le foto delle location del film. Per i collezionisti è disponibile anche in un’edizione speciale con cofanetto e fotografia autografata.
Stefano Ferrari
Amos Gitai. Strade|Ways
A cura di Amos Gitai
Fino al 1° febbraio 2015
Palazzo Reale, Sala delle Cariatidi, Milano