Si è da poco conclusa, presso la Galleria Valmore di Vicenza, una esaustiva mostra di Ale Guzzetti, tra i pionieri di un’estetica che lega arte, scienza e tecnologia. Il trentennale percorso dell’artista è stato ricostruito attraverso l’esposizione di opere che mettono al centro lo spettatore e il suo rapporto con la tecnologia, dando vita a inusuali riflessioni.
Da diversi anni, ormai, si sente parlare di arti elettroniche, robotiche, multimediali; è però frequente vedere le opere oscillare un po’ troppo dalla parte del virtuosismo tecnologico, puntando sulla sorpresa, sul prodigio ma “peccando” talvolta dal punto di vista teorico. Non è certamente il caso di Ale Guzzetti: basta andare a leggere le sue dichiarazioni di poetica, dare uno sguardo al mare magnum di letture, teorie e intellettuali di riferimento che egli stesso cita per comprendere quanto l’opera sia solo la punta dell’iceberg, la concretizzazione, la sfida comunicativa di un universo dai linguaggi stratificati, l’estrinsecazione della materia di cui son fatti i sogni di questo artista/intellettuale decisamente fuori dal comune.
Dietro a una sorta di scanzonata e autoironica modestia, si cela dunque un artista rigoroso e preparatissimo che infonde nella pratica la teoria, con dimestichezza e gusto nel fare: risultano opere bellissime, da guardare e da comprendere, sistemi complessi che si inseriscono in una rete di relazioni ricca di risvolti ancora inediti. Proprio su questa sostanziale differenza punta la mostra, curata da Monica Bonollo presso la Galleria Valmore. Un’antologica sul percorso coerente e produttivo di Ale Guzzetti che va dalle prime Sculture sonore del 1983 fino ai più recenti Robots Portraits e Affective Robots.
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Cristina Trivellin
D’ARS anno 56/n. 223/estate 2016 (incipit dell’articolo)