Stefano Ferrari
Nel 2006 Ai Weiwei ha trascorso un periodo di apprendistato a Jingdezhen, culla della millenaria porcellana “bianca e blu” e dei celeberrimi vasi Ming, ancora oggi animata da decine di botteghe che esportano i propri manufatti in tutto il mondo. Figlia di quell’esperienza sarebbe stata Sunflower Seeds, l’installazione realizzata nel 2010 per la Turbine Hall della Tate Modern: un tappeto di cento milioni di semi di girasole in ceramica, modellati e colorati a mano dagli artigiani della “città di Jingde”. Con le sue, invece, Ai ha modellato la serie di pezzi unici in mostra fino al 25 maggio alla Lisson Gallery Milan. Sulla falsariga dei semi di girasole, i lavori imitano forme naturali e artificiali, dai due cocomeri di Watermelon (2006) alla colonna di due metri e mezzo di Pillar (2006).
Le sei sfere blu cobalto sistemate al limitare del giardino interno sono una piccola delegazione delle cento originarie che componevano l’installazione Bubble, presentata nel 2008 sui prati di Watson Island in occasione di Art Basel Miami Beach. I pezzi forti sono però quelli che mostrano lo spirito critico di Ai, sostenuto come sempre da intelligenza e ironia. La porcellana si tinge così di nero per imitare il colore del petrolio, moltiplicato in sette dischi deformi stesi sul pavimento della galleria, lucidi e inquietanti (Oil Spill, 2006). In Ghost Gu (2007) il bersaglio è la stessa tradizione vascolare cinese, i cui manufatti, mitizzati dalla società occidentale, vengono oggi venduti dalle case d’asta a prezzi spropositati (il record è di Sotheby’s che lo scorso ottobre ha battuto un Ming per 21,6 milioni di dollari).
I due vasi di Ai, pur plasmati nel rispetto della tecnica tradizionale, ne rovesciano al contempo la tipica struttura. Rivoltati come guanti, la decorazione è finita sulla superficie interna, seminascosta agli occhi, mentre fuori domina il bianco perlaceo della pasta vetrosa. Due pezzi curiosi, ma che certamente avrebbero meno successo se messi all’incanto a fianco di una ceramica della dinastia Yuan (1279–1368), che cattura i ricchi collezionisti con le sue pitture bene in vista. Si stacca dal gruppo Marble Plate (2010), un piatto piano in marmo di un metro di diametro, frutto della più recente produzione dell’artista. L’atmosfera pacifica e ovattata che domina in galleria è però turbata da un triste pensiero. Quando la mostra alla Lisson Gallery chiuderà, Ai Weiwei avrà davanti a sé ancora un mese di libertà a raggio ridotto e sotto tutela, regime a cui è sottoposto dal giugno scorso e che è uno strascico di quei famosi ottantun giorni di detenzione illecita che nel 2011 l’hanno fatto comparire sulle prime pagine dei quotidiani di mezzo mondo.
Ai Weiwei
11 aprile – 25 maggio
Lisson Gallery Milan
Via Zenale 3, Milano