Il regista Gaetano Di Vaio entra nei Quartieri Spagnoli di Napoli per documentare lo spaccato quotidiano della vita di ventenni che qui vivono, reclusi in una difficile realtà da cui vorrebbero scappare senza intravedere l’opportunità per farlo. Una vita che il regista conosce in prima persona e che racconta con commozione. Il documentario Largo Baracche ha vinto il premio DOC/IT all’ultimo Festival Internazionale del Film di Roma.
I quartieri spagnoli sono uno dei quartieri storici di Napoli che, sorti nel XVI secolo per ospitare – come dichiara il nome – le truppe spagnole, diventano da subito luogo malfamato, prima con gli spagnoli che si ritrovavano per soddisfare i piaceri della carne e poi con i boss che ne hanno fatto una roccaforte per i loro traffici. La triste fama del passato è rimasta e i quartieri spagnoli sono ancora zona di degrado, di spaccio e di malaffare, off limits per i turisti.
Qui la vita risucchia i giovani: Di Vaio entra nel “ghetto” partenopeo e chiede ad alcuni ragazzi, nati e cresciuti lì, di raccontare le loro vite, interrogandoli e interrogandosi sulle possibilità che si possono avere. Di Vaio è diventato regista e produttore, ma una parte della sua giovinezza è stata spesa nel carcere di Napoli; si rivede tristemente nelle storie di Carmine, Giovanni e Mariano che di fronte alla telecamera offrono la loro storia di amore e odio per la città, di ammirazione e repulsione per le gesta della gente che ha fatto strada nel quartiere. Attraverso le domande che pongono a parenti e famigliari, capiscono limiti, errori e assurdità di quel luogo, di quella vita. Il confronto è fatto attorno ad un tavolo: è mai possibile sottrarsi ad un simile destino? Non c’è una risposta e non c’è un’assoluzione per chi si macchia di crimine e colpe nonostante siano dettate, obbligate forse, dal contesto. Tra le molte drammatiche testimonianze c’è quella di una madre che ricorda come nella scuola del figlio avessero assegnato alla medesima classe i ragazzi dei quartieri spagnoli, ghettizzati.
Indirizzate dal regista, le domande dei ragazzi conducono il film e non fanno cadere nel pregiudizio. La realtà di Napoli è talmente sovresposta mediaticamente che la banalità dei pregiudizi sarebbe dietro l’angolo e sarebbe troppo facile limitare l’attribuzione delle colpe al contesto sociale: non può esserci una soluzione ad un campo di tensioni tanto complesso. Come ha fatto Pampaloni in Roma Termini, cui la giuria ha riconosciuto una menzione speciale, Di Vaio lascia scorrere le vite che gli si sono offerte e che avevano voglia di raccontarsi. Un altro successo del documentario italiano, più che mai vivo.
Elena Cappelletti