Squeezing Sound Out Of Light, letteralmente significa “spremere fuori il suono dalla luce” e descrive in effetti l’impressione che si ha assistendo alla performance del sound artist Marco Cecotto. Tuttavia non è propriamente quanto accade nel corso delle esecuzioni di questo lavoro e per capire meglio a cosa si riferisce il termine squeezing, abbiamo chiesto spiegazioni direttamente all’artista:
(Marco Cecotto): Quello che faccio in realtà non è “spremere” fisicamente il suono dalla luce: quelle che hai sentito sono evidentemente registrazioni di suoni ambientali, come vento, pioggia, tuoni, oggetti metallici che si scaldano e raffreddano… Quel che faccio con la luce è controllare in tempo reale la riproduzione e l’elaborazione di questi materiali registrati. E questa operazione di riproduzione ed elaborazione avviene a livello digitale. Ma, nonostante effettivamente mi limiti a controllare il suono tramite la luce, credo che mentre eseguo la performance lo spettatore abbia l’impressione che veramente stia “accarezzando” il sibilo del vento muovendo la mano sopra una lampadina, o “estraendo” il boato di un tuono da un lampo di luce. È a questa dimensione esperienziale, e non fisica, che fa riferimento lo “spremere”.
La sistuazione che si presenta davanti agli occhi degli spettatori di Squeezing Sound Out Of Light è un tavolo al centro di una stanza buia. Le uniche luci che aiutano il pubblico a vedere cosa succede, sono quelle che Cecotto accende volta per volta per attivare i vari suoni, come flash della fotocamera, piccole lampade da tavolo e lampade tascabili. Sulla scrivania poggia un complesso macchinario composto da un insieme di strumenti fotosensibili. L’insieme delle tecnologie impiegate compongono un sistema ibrido, analogico e digitale, per il controllo del suono tramite la luce, e della luce tramite il suono che Cecotto spiega così:
(M. C.): Utilizzando una serie di fotoresistenze collegate a un circuito elettrico, invio dei segnali analogici ad Arduino in risposta alle condizioni luminose circostanti. Arduino traduce il segnale analogico in digitale, che viene elaborato in tempo reale dal computer portatile tramite una patch da me scritta in Pure Data. A ogni fotoresistenza è collegato un gruppo di suoni e una serie di variabili all’interno del processo di elaborazione di questi suoni. Dispongo le fotoresistenze a gruppi in prossimità delle lampade e lampadine che mi circondano, e durante la performance controllo il suono creando attorno a questi gruppi di fotoresistenze dei giochi di luce. La cosa particolare è che spesso il suono a sua volta controlla la luce, e quindi si creano dei feedback audio-luminosi, delle spirali con le quali io mi limito a interagire, magari cimentandomi in un accompagnamento all’agofono (strumento autocostruito composto da un sensore luminoso e una serie di aghi applicati a un microfono a contatto).
Per completare la complessità del sistema da lui elaborato, c’è un guanto che indossa durante le performance e con il quale aziona il suono preregistrato di tuoni.
(M. C.): Il guanto è una mia creazione, è uno di quei gruppi di fotoresistenze di cui ti ho parlato prima e me l’ha cucito la mamma!
Scienza, tecnologia e suggestioni naturali in un solo tavolo, un’orchestra di suoni e luci che si susseguono in modo continuo trasportando l’immaginazione degli spettatori in diversi quadri sonori. Il sistema congegnato da Marco Cecotto è dunque un gioco di parti tra suoni e dispositivi, analogici e digitali. Gli abbiamo chiesto come si rapporta nei confronti di queste due realtà artistiche:
(M. C.): L’analogico, il mondo fisico, è incomparabilmente più ricco, denso e imprevedibile del mondo digitale. È lì che mi piace andare a cercare i miei suoni: nel mondo che mi circonda, tra i suoni dell’ambiente. Ma il digitale, tecnicamente, lo vedo come una grande opportunità. Da un punto di vista sonoro, la traduzione di vibrazioni meccaniche in segnali elettrici, e di questi segnali elettrici – più o meno elaborati elettroacusticamente – in vibrazioni meccaniche mi sembra già di per sé un processo creativo ricco di possibilità espressive. Ma l’innesto del digitale all’interno di questo processo fa esplodere la situazione. In breve: abbattendo drasticamente il volume, i costi e i tempi di produzione del sistema tecnologico utilizzato, aumenta vertiginosamente la disponibilità di mezzi, la loro capacità di interconnessione, le loro possibilità di traduzione e condivisione delle informazioni (o anche, più semplicemente, mette a disposizione del performer un sacco di dita in più!). Certo, ogni traduzione comporta sempre una perdita, ma anche la possibilità di creazione di un senso nuovo.
Uno studio e un complesso strumentale ben elaborato. Marco Cecotto con questo spettacolo dimostra maturità artistica e una grande conoscenza tecnica che si accompagnano ad una poetica di fondo ben calibrata. Alcune delle pose che Marco assume durante lo spettacolo sono ricche di teatralità. Sarà per il contesto surreale e per il trasporto che la luce e il suono attivano nei confronti dello spettatore, ma grazie anche alla gestualità insita nella performance si crea un contesto quasi “magico”.
(M. C.): Grazie per il “magico”, mi fa piacere che tu abbia respirato questa atmosfera. L’esperienza “magica” di sentire un tuono uscire da un flash è al centro della performance che, dal mio punto di vista, non si deve ridurre a una dimostrazione dal vivo del funzionamento di un particolare sistema analogico/digitale, o all’esplorazione di una determinata regione sonora, ma deve trasportare lo spettatore in una dimensione altra, surreale, dove appunto un pezzo di una vecchia macchina fotografica può diventare un controllo ancestrale. A questo, a volte, sono utili le “pose” – che sinceramente non adoro assumere! Ma sono funzionali: del resto, se ho scelto di cimentarmi in questo tipo di performance è proprio per la dimensione teatrale assunta dalle più semplici operazioni necessarie al controllo del suono. In parte infatti queste pose sono anche dettate da esigenze tecniche (durante il tuono non posso tenere il flash troppo basso, altrimenti colpirei anche i sensori sul tavolo, che in quel momento non devono essere coinvolti). Ma per lo più devo ammettere che derivano da osservazioni e rinforzi di natura “teatrale” che mi arrivano dagli sventurati cui sottopongo le mie prove prima delle esibizioni.”
Squeezing Sound Out Of Light è in sintesi, la sfida di gestire un materiale sfuggente come il suono, attraverso il fascino di un controller particolare come la luce. Il risultato di questa operazione si è rivelato senza dubbio, un connubio perfetto.
Sara Cucchiarini