Si compie a SALT Beyoğlu, uno dei maggiori centri di arte contemporanea della Turchia diretto da Vasif Kortun, un’altra tappa per il progetto Disobedience Archive, a cura di Marco Scotini e Andris Brinkmanis. La precedente incarnazione di questo archivio aperto e in crescita si era concretizzata al Castello di Rivoli (23 aprile-1 settembre 2013), con un allestimento studiato ad hoc dall’artista Céline Condorelli in forma di “Parlamento”[1]. Disobedience nasce nel 2005 da un’idea di Scotini per PLAY platform for Film & Video, a Berlino, come mostra di video e piattaforma di discussione sulle ibridazioni fra azione politica e pratica artistica. Più che un archivio, un “anarchivio”, un dispositivo concepito per essere sempre aperto e attuale, e che quindi cambia la sua forma e il suo contenuto a ogni nuova messa in mostra, tenendo conto degli avvenimenti del presente e delle criticità dell’area geografica in cui viene esposta. Fra le precedenti location ricordiamo: Van Abbemuseum (Eindhoven), Nottingham Contemporary, Raven Row (Londra), MIT – Massachusetts Institute of Technology (Boston), HDLU (Zagabria), MNAC – Museo Nazionale d’Arte Contemporanea (Bucarest), Bildmuseet (Umeå, Svezia).
L’archivio Disobedience è costituito da più di 80 ore di filmati, ma proprio per questo non prevede una visione completa e monolitica di tutto il materiale per essere fruito: è concepito come una “toolbox”, uno strumento, un database che aspetta di essere de-archiviato e ri-archiviato continuamente dallo spettatore che, aiutato dal display sempre diverso e funzionale, sceglie cosa guardare e come. Non è una raccolta fine a sé stessa, da conservare e mostrare sotto vetro nella logica di una storicizzazione dell’arte che sembra tuttora preponderante – specialmente in Italia.
Il materiale è diviso in dieci sezioni tematiche, 1977: The Italian Exit, Protesting Capitalist Globalization, Reclaim the Streets, Argentina Fabrica Social, Disobedience East, Disobedience University, Bioresistance and Society of Control, The Arab Dissent e Gender Politics. Si aggiunge, in occasione di questa nuova incarnazione di Disobedience Archive (The Park) la sezione Gezi Commune, che si focalizza su Istanbul coi contributi originali di Videoccupy, Herkes için Mimarlık e Cem Dinlenmiş. Quest’ultimo giovane artista-disegnatore che pubblica sulla rivista satirica turca Penguen, ha realizzato il diagramma riassuntivo delle forme di resistenza sociale connesse alle aree tematiche di Disobedience e l’illustrazione in apertura al catalogo/giornale della mostra che riprende l’immagine dell’Ataturk Cultural Center coperto dai poster durante le proteste del maggio 2013. Perché il titolo assunto da Disobedience ad Istanbul è appunto The Park, in riferimento al movimento nato per proteggere il parco cittadino di Gezi dalla demolizione: l’espropriazione di un bene comune da consegnare alle logiche consumistiche del mercato, che è stata la scintilla finale per innescare gli scontri dopo una stagione di politiche del governo turco sempre più restrittive, lesive della libertà di espressione e della laicità dello stato.[2]
Videoccupy, Hatırlayalım! 28 Mayıs 2013’te Gezi Parkı’nda ne oldu? – Bölüm 2 (Ricordiamo!: Cosa è accaduto a Gezi Park il 28 Maggio 2013? – Parte 2), 5’
Videoccupy, Taksim Meydanı (Piazza Taksim) // 11.06.2013 – 18.00, 2’46’’
The Park sottolinea anche il punto di partenza dell’archivio Disobedience, in riferimento all’esperienza del Parco Lambro del giugno 1976, che si trasforma da festival della contro-cultura e happening musicale a evento politico capace di cambiare un’epoca, documentato dal filmato di Alberto Grifi che sceglie di “disobbedire” al suo ruolo di regista e passare la telecamera ai partecipanti.
Alberto Grifi, Il festival del proletariato giovanile al Parco Lambro, Milano, 1976, 30’ (estratto)
L’ultima nota va al display studiato appositamente per questo capitolo di Disobedience dal collettivo Herkes için Mimarlık (Architecture for all) che sostiene un’idea di design partecipato e sostenibile: in questo caso il riciclo di elementi di mobilio ritrovati nell’inventario dei materiali dell’edificio (di metà Ottocento) che ospita SALT Beyoğlu, poi restaurati e ridipinti. L’allestimento evita diretti riferimenti alla realtà di Gezi Park[1], ma crea aree di consultazione dell’archivio video simili ad ambienti domestici, per restituire la tensione fra individualismo e collettività, ed evocare il concetto di casa come snodo della cultura capitalista fra comunicazione mediatica e spettatore/consumatore. Tali aree dialogano con il materiale d’archivio, con le opere, i disegni e i documenti in mostra connessi alle varie sezioni (anche materiale raro come la teca sulla questione operaia con disegni, volantini e strumenti di gommapiuma realizzati da Piero Gilardi).
Una mostra che è stata in grado di proporre una soluzione espositiva dinamica e funzionale (in contrasto con il concetto modernista di mostra d’arte), contestuale al contenuto e che è testimonianza diretta e vitale di un orizzonte comune della disobbedienza, di una riorganizzazione sociale dal basso possibile in resistenza alle maglie sempre più strette della società del controllo. Qui per “disobbedienza” non si intende il “dire no”, ma una consapevolezza di affermazione alternativa. Disobbedisco perché ci sono, che è la più creativa delle azioni: la produzione di nuove soggettività, sempre in corso. Rimaniamo dunque in attesa di una futura mostra dell’archivio Disobedience che ne raccolga nuove testimonianze.
Alessandro Azzoni
[1] Che si possono però ritrovare in un altro loro progetto, #OccupyGezi Architectur
[1] Per approfondire Disobedience Archive (The Republic)
[2] Interessante per approfondire questo punto la conversazione fra Marco Scotini e Cem Dinlenmiş pubblicata su Alfabeta2