“Fotograferei un‘idea piuttosto che un oggetto, e un sogno più che un’idea” (Man Ray)
Domenica 9 febbraio presso il Palazzo Municipale di Seriate (BG) si è inaugurata la retrospettiva di Occhiomagico (dal 9 febbraio al 1 marzo 2014).
L’occhio magico è lo spioncino inserito all’interno delle porte che mostra una realtà altra, distorta, fatta di prospettive esasperate e linee curve. È un altro sguardo possibile sul mondo, che comprende quello che è e quello che potrebbe essere. È la possibilità di vedere le cose anche per quello che non sono, di poterle immaginare.
Occhiomagico è lo pseudonimo adottato, in perfetto stile dadaista, da Giancarlo Maiocchi e Ambrogio Beretta a partire dal 1971 (Beretta farà parte del progetto fino alla fine degli anni ’80, per poi dedicarsi alla scultura) per il loro studio di invenzioni fotografiche di Milano. Già il nome, carico di visioni e di magia, è un manifesto di poetica, e sin dalle prime immagini sono presenti, seppur in modo embrionale, molti degli elementi che caratterizzeranno la produzione successiva. Nel fotomontaggio Le due verità del 1974 un’anziana signora cammina per strada e dietro di lei vi sono un muro, degli alberi e dei passanti o anche un’enorme Luna, la Terra in lontananza e lo spazio siderale intorno. Sono simultaneamente presenti due realtà e a noi spetta scegliere che cosa vedere. Occhiomagico sceglie la fantasia.
La ricerca poetica di Occhiomagico riprende infatti la lezione delle Avanguardie Storiche, in cui la fotografia mostra la sua indipendenza dal realismo descrittivo, e si inserisce perfettamente nel clima culturale della fine degli anni Sessanta, fatto di rottura con la tradizione: sono gli anni di Jimi Hendrix e delle rivolte in piazza, del Living Theater e di Fluxus. Nel 1978 dichiara la “fine della fotografia” e la volontà di definire un punto zero, un nuovo modo di intendere l’immagine, alla quale spetta il compito di registrare le idee e mettere in scena pensieri intimi: presso la galleria Il Diaframma espone un monolito di un metro per due contenente due stampe dalla stessa negativa 35 mm, una a colori e una in bianco e nero. Niente immagini tradizionali alle pareti, solo quest’opera, La porta di Niépce, che rappresenta il sesso femminile, simbolo della rinascita.
Nel 1976 Alessandro Guerriero fonda a Milano lo Studio Alchimia, luogo di contaminazione di linguaggi e di ricerca sul design, sull’architettura e sulla moda, in cui si vuole privilegiare l’idea al prodotto, dove il disegno è un libero e continuo movimento del pensiero. Così recita il suo manifesto: L’errare indeterminato della fantasia dà luogo alla costruzione di un meccanismo rappresentativo, nell’attitudine eterna dell’uomo, che Alchimia fa propria, a ridisegnare incessantemente l’immagine del mondo e le sue matrici ornamentali. […] Per Alchimia il disegno è un ciclo: tutto quanto accadrà è già avvenuto, e la fantasia individuale, base della sopravvivenza del mondo, può percorrere in tutti i sensi ogni cultura e luogo, purché operi in maniera innamorata. Per Alchimia il progetto è delicato, non si impone, ma affianca e accompagna dolcemente l’andamento della vita e della morte delle persone cui quel progetto piace. Dal sodalizio con Alessandro Guerriero e Alessandro Mendini, in pieno clima postmoderno, nascono le 24 copertine per Domus (1981-1982). In quegli anni collabora anche con altri designer, architetti, stilisti e musicisti, come Andrea Branzi, Michele De Lucchi, Ettore Sottsass, Cinzia Ruggeri, Moschino e i Matia Bazar. Le immagini di Occhiomagico, che nella dimensione analogica ed alchemica della camera oscura anticipano la tendenza alla manipolazione dell’immagine tipica del digitale, rappresentano il progetto e non l’oggetto, inventando luoghi inesistenti e spazi inverosimili.
Come scrive Giovanna Calvenzi nel 1984, dal momento della sua messa a punto, 150 anni fa, la fotografia non ha subito grandi evoluzioni mentre negli ultimi 150 anni la realtà si è modificata enormemente, la conoscenza è in continua evoluzione e trasformazione. La fotografia diventa insufficiente per cogliere il caos della trasformazione e da qui nasce il “saccheggio culturale”, come lo chiamano loro, nei confronti della storia dell’arte, della filosofia, della scienza e l’esigenza di un’espressione multimediale, che si serve cioè di molti, diversi, media: video, pittura, xerox, olografia, fotografia.
Dalla contaminazione di più linguaggi nasce “Falso Movimento” (1989-1992), il primo progetto di Giancarlo Maiocchi senza Ambrogio Beretta, riflessione su di sé, su alcuni archetipi e sul fare fotografico. Dodici parole chiave, dodici testi, dodici fotografie pensate all’interno di un’architettura minimale, ogni volta diversa, simile allo spazio di finzione della scena teatrale. Sono immagini altamente simboliche ed enigmatiche (nel progetto La stanza del Tempo cita Eraclito: L’intima natura delle cose ama nascondersi), con atmosfere sospese, metafisiche. In Covers (1996-1999) riscrive la storia della fotografia, reinterpretando – spesso con ironia, altre volte con atmosfere più cupe – alcune icone, da Diane Arbus a Henri-Cartier Bresson, da Hans Bellmer a Man Ray. In Mi Vida racconta storie di donne in light box dorati dalle prospettive sbagliate. Sono figure femminili misteriose che ricorrono nella vita di Giancarlo Maiocchi e di ogni uomo: la diva, la figlia, l’amante, l’amica, la sconosciuta, la madre. E il simbolo – come in tutta la produzione di Occhiomagico – unisce l’esperienza personale all’universale.
Talking about (2004) è invece una riflessione sulla realtà virtuale e le nuove generazioni, ambientate in non-luoghi della contemporaneità (centri commerciali, ponti delle tangenziali, palazzi di vetro). In L’ora sospesa (2005) tempo e spazio si confondono. Il paesaggio non è mai oggettivo, è sempre una proiezione del soggetto, fatto dallo stratificarsi di più visioni e più ricordi – come in un sogno, in un universo parallelo.
E c’è bisogno di un “silenzio” esterno e di un “tumulto” interiore” dal quale ricavare le immagini che ci si presentano e che noi realizziamo. Il frutto di questo lavoro è lo stratificarsi di memorie, sogni, desideri, dolori in una sola fotografia. Scegliere se lavorare su un piano estetico o sulla scoperta del nostro giardino segreto influenza in modo determinante la collocazione di sé nel mondo. (Occhiomagico, Estetica ed estasi, 1991)
Eleonora Roaro
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