Gli 0100101110101101.ORG o più semplicemente 01.org ora si fanno chiamare Eva e Franco Mattes. Nella home page del loro sito si definiscono una “irrequieta coppia di artisti europei che utilizza tattiche di comunicazione non convenzionali per ottenere la massima visibilità con il minimo sforzo”. Questi due net artisti da anni lavorano sfruttando quelle che sono le possibilità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione di massa, in primis Internet, aggirando le logiche comuni di utilizzo del mezzo, infiltrandosi nelle falle del sistema delle comunicazioni di massa per mettere a punto azioni artistiche irriverenti, divertenti e intelligenti. Il tutto agito nella più completa adesione ai principi logici tipici della tecnologia digitale e dell’informatica, a quella forma mentale alla quale il computer sta modellando la società contemporanea già da un po’. Nel mondo del computer l’unicum non esiste più, tutto è perfettamente clonabile e infinitamente editabile; ecco allora opere come Vaticano.org (1998-99) che copia l’interfaccia del sito ufficiale del Vaticano e ne modifica in modo satirico parte dei contenuti; percorrendo la superautostrada informatica come la chiamava Nam June Paik, l’identità è volatile ed effimera come l’essenza di qualsiasi informazione e può essere inventata, distrutta, moltiplicata e ricostruita a colpi di pochi click. Ecco allora che se tutto è costruibile dal nulla (tranne le idee ovviamente) gli 01.org inventano dal nulla un artista, Darko Maver che crea opere, espone e muore tragicamente catturando così l’attenzione dei critici d’arte. Peccato che Darko non è altro che una “chiacchiera” abilmente diffusa e sostenuta dai migliori strumenti a disposizione.
L’ultimo lavoro degli 01.org cade sotto il nome di Synthetic Performance ed è firmata Eva e Franco Mattes. A questi due nomi corrispondono due avatar che facendo le veci degli autori in carne ed ossa, ripropongono una serie di performance artistiche storiche come Imponderabilia di Marina Abramovic e Ulay o Seedbed di Vito Acconci in Second Life, il mondo virtuale creato dalla società americana Linden Lab nel 2003.
Dunque la prima cosa a cui penso riguarda la forse apparente differenza di queste operazioni di Eva e Franco Mattes rispetto ai lavori firmati 01.org: già da prima dell’esistenza di Second Life questi due artisti avevano utilizzato nel migliore dei modi la tecnologia informatica e la rete per celare la loro identità ed assumere mirabilmente di volta in volta nuove identità con le quali realizzare azioni artistiche che hanno avuto ripercussioni e risonanza in quella che potremmo chiamare la prima vita.
Ora invece, in un luogo in cui finalmente tutti possono facilmente decidere chi e come essere e nascondere la propria vera identità, Eva e Franco Mattes trovano più interessante agire con avatar che rispecchiano la loro reale fisionomia, come a ricordarci implicitamente che solo andando contro corrente si possono esplorare nuovi campi dell’esistenza.
Con queste performance sembra che il loro interesse sia diretto quasi esclusivamente alla realtà virtuale, ad uno dei mondi in essa costruiti e nel quale, con un’operazione inversa rispetto alla logica dei precedenti lavori, hanno introdotto dinamiche mutuate dal primo mondo ed appartenenti ad un preciso periodo storico ed artistico della società occidentale. Nel riproporre minuziosamente azioni artistiche che si sono svolte nella vita reale, hanno utilizzato un nuovo medium per un “contenuto” pre-esistente secondo le modalità del reenactment e hanno riattualizzato questa serie di performance attraverso la loro ricostruzione tridimensionale in un mondo virtuale. Operazioni nate per esplorare il campo dei sentimenti umani nel modo più diretto possibile e in relazione alla prossimità del corpo dell’artista a quello spettatore, nella serie di performance sintetiche di Eva e Franco Mattes subiscono una iper-mediazione che mira ora ad esplorare le reazioni del pubblico in un contesto completamente differente da quello originale. L’esperienza vissuta e le sensazioni che ne derivano funzionano al livello simbolico delle proiezioni mentali e ciò che risulta interessante è proprio vedere attraverso l’arte quale possono essere il grado di coinvolgimento emotivo e la gamma di sensazioni provocate in un contesto opposto a quello originale, sintetico in ogni sua parte ma agito comunque da persone reali. In Second Life si sta creando una discreta comunità di artisti – per esempio la giuria di Ars Electronica di quest’anno si è trovata a dover vagliare un gran numero numero di partecipazioni riguardanti Second Life – che come nel caso di Gazira Babeli esistono proprio in virtù di questo mondo virtuale. Come sempre la creatività che si cela dietro operazioni apparentemente giocose ci può aiutare a comprendere meglio le trasformazioni delle varie forme che assume la vita umana; ecco allora che guardando a queste opere riusciamo magari a comprendere le dinamiche di coinvolgimento ed attrazione che legano migliaia di persone a Second Life. E’ interessante ad esempio notare che, come dichiarato dagli artisti stessi in un’intervista presente nel loro sito e relativa a Synthetic Performance, le persone che attraverso il proprio avatar erano presenti alla presentazione delle performance in SL si sono dimostrate entusiaste dell’operazione, mentre dal mondo reale la maggior parte delle persone hanno considerato queste performance dissacratorie nei confronti di quelle originali e inutili proprio perché non agite nel reale. Ovviamente anche qui il gioco innescato dai due artisti funziona coerentemente con quella che è la loro concezione di realtà: non esiste nessuna distinzione tra reale e artificiale, autenticità e fantasia; “Niente è reale, tutto è possibile” affermano nella stessa intervista Eva e Franco Mattes. Ciò che importa, sembrano suggerirci, non è il grado di coerenza di un fatto con quella cosa comunque relativa e indefinita che chiamiamo realtà, ma le conseguenze e le sensazioni che quel fatto può provocare funzionando con la logica del “come se” che ha distinto i movimenti e le scelte dell’essere umano fin dagli albori della sua esistenza, fin dalla scoperta del suo primo segno indicale.
Martina Coletti
D’ARS year 48/nr 194/summer 2008