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Gender Check. Verifica di genere e analisi storica dell’Europa di oggi

Quest’anno si celebra il XX anniversario della caduta della Cortina di Ferro, un momento di particolare rilevanza per il Centro e il Sud Est Europeo, di cui Vienna geograficamente è il fulcro. Per questo motivo la ERSTE Foundation, organizzazione con sede in Austria fondata nel 2003 per sviluppare programmi socio-culturali in Europa, ha voluto lanciare nel 2007 un concorso a inviti per coinvolgere  curatori internazionali nel progetto della mostra “Gender Check”. Una giuria ha selezionato le proposte pervenute valutando migliore quella della curatrice originaria di Belgrado e residente a Berlino, Bojana Pejic. Il suo progetto si focalizza sulle differenze di “genere” nell’Europa dell’Est a partire dagli anni ’60 fino a oggi. Una ricerca sistematica degli sviluppi nell’era socialista e dei cambiamenti radicali derivati dalle carenze socioculturali generate dal crollo del regime. Per oltre due anni, più di venti critici e storici dell’arte  hanno visitato archivi, musei e biblioteche ricercando in 24 paesi – dal Baltico al Caucaso – grazie al sostegno economico e alla cooperazione dei partner dell’iniziativa; il MUMOK, Museo di arte contemporanea di Vienna e la Zacheta Gallery di Varsavia.

Marina Abramovic, Art must be beautiful, 1975
Marina Abramovic, Art must be beautiful, 1975

“Gender Check” (Museum of Modern Art (MUMOK), Vienna, Austria Fino al 14 febbraio 2010) è una rassegna di opere d’arte  riunite ed esposte per la prima volta in un’istituzione internazionale; si presenta come un percorso che esplora il prima e il dopo l’apertura dei confini Est-Ovest affrontando differenti tematiche, dalla costruzione alla decostruzione di clichés collettivi, dall’affermazione dell’identità nazionale all’individualismo attuale. La mostra si propone di fare un punto della situazione e di completare la storia dell’arte e della società paneuropea provando a focalizzarsi su una tematica, in parte dimenticata senza giustificazioni, che dovrebbe ampliare il dialogo interculturale attraverso i confini geografici e individuali favorendo l’integrazione di “genere”.
In inglese sia il concetto di “gender” che il termine “sex” possono essere utilizzati in contesti in cui non potrebbero essere sostituiti– “atto sessuale, sesso sicuro, lavoratore del sesso, etc …” e “genere grammaticale”. Le altre lingue come il tedesco e l’olandese usano la stessa parola riferita non solo al sesso biologico, ma applicandola anche alle differenze sociali, facendo una distinzione fra sesso biologico e identità di genere. In certi contesti il tedesco ha preso in prestito la parola inglese ” genere” per spiegare questa differenza. Il genere è, quindi, qui inteso come la declinazione culturale della dimensione biologica del sesso. Le diversità sessuali si articolano, in ogni società, in comportamenti che sono ritenuti appannaggio dei due sessi, comportamenti che vengono condivisi come maschili o femminili dal gruppo sociale di riferimento. Per questo motivo, per intraprendere ogni riflessione sul genere, è importante premettere come si creano e come operano le culture all’interno di un gruppo sociale.

Ci parla delle politiche di integrazione nel centro Europa Dragan Mayer, professore di Gender Studies all’Università di Vienna: “Nel lontano 2006 la municipalità di Vienna decise di adottare alcune fondamentali misure anti-discriminazione da inserire nei servizi e nei luoghi pubblici. Pittogrammi e cartelloni mostravano silhouette maschili con in braccio un bambino allo scopo di suggerire ai frequentatori dei luoghi pubblici e ai passeggeri delle metropolitane di offrire i loro posti a sedere ai genitori accompagnati dai figli. I percorsi di emergenza vennero segnalati dalla figura stilizzata di una donna dai capelli lunghi ritratta nell’atto di correre mentre indossa stivali con il tacco. Nei giardini pubblici vennero eliminate immediatamente le aree riservate al gioco delle macchinine e del Lego per i maschietti e i piccoli fornelli e le bambole per le bimbe. Le recite e i saggi di fine anno, che enfatizzavano il modello della famiglia patriarcale e il tradizionale ruolo centrale della donna, vennero banditi dalle scuole e dagli asili. Per favorire e incoraggiare l’integrazione nelle infrastrutture municipali e nei parchi cittadini iniziarono a essere costruiti luoghi di ricreazione “unisex” e furono implementati gli impianti di illuminazione per permettere tranquille passeggiate e jogging la sera tardi. Tutte le entrate a budget furono sottoposte a revisione di un comitato condotto da Sonja Wehsely, responsabile cittadina dei diritti femminili, che doveva essere garante del buon utilizzo delle risorse cittadine nei confronti di entrambi i sessi”.

Momok, Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig Wien (Ortner & Ortner Architekten) MuseumQuartier, Vienna
Momok, Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig Wien (Ortner & Ortner Architekten) MuseumQuartier, Vienna

L’azione di “check” in questo progetto non si riduce al termine “gender”. Non si indaga quindi solo sulla relazione tra i “generi” e i loro fondamenti sociali nei paesi dell’Est e del sud-Est Europa, ma anche il ruolo di questo argomento nella relazione tra gli ambiti conflittuali del comunismo e del sistema capitalistico. Compito della ricerca culturale è identificare quali valori e comportamenti sono oggetto di studio e quali gruppi ad essi si riferiscano. La verifica non si limita quindi alla storia dell’arte, ma alle esperienze simultanee di differenti nazioni che hanno sperimentato il controllo politico e la sorveglianza dei regimi totalitaristici. Il sistema di valori e di credenze del gruppo si manifesta, ed è quindi leggibile, nei simboli, negli artefatti, nelle manifestazioni artistiche, negli usi, nei costumi e nel linguaggio. Ancora una volta l’arte, con il suo linguaggio universale come la musica, permette il recupero e la ricostruzione di una memoria collettiva al di là delle differenti radici culturali, geografiche, ideologiche, religiose e permette di ricomporre un affresco nitido che mantiene la forza della diversità.

Elisabetta Kluzer

D’ARS year 50/nr 201/spring 2010

 

 

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