Nel 1991, in Italia, presso l’Università di Parma, da un gruppo di studiosi guidati da Giacomo Rizzolatti venne fatta una scoperta molto interessante non solo per la medicina ma anche per le scienze umane: i neuroni specchio, inizialmente individuati nelle scimmie e in seguito nel’uomo e in altre specie animali. Vilayanur S. Ramachandran, uno dei più autorevoli neuroscienziati nonché “una delle cento persone più importanti del nostro secolo” secondo la rivista Newsweek, ritiene che i neuroni specchio rappresentino in psicologia una scoperta paragonabile a quella del DNA in biologia, e che abbiano una funzione fondamentale per lo sviluppo del linguaggio. I neuroni specchio e l’apprendimento mediante imitazione costituirebbero, sempre secondo il grande scienziato indiano, la forza trainante del “grande salto in avanti” nell’evoluzione umana, con l’emergere, tra le altre cose, del linguaggio, della capacità simbolica, dell’abilità di utilizzare le risorse dell’ambiente nella costruzione di artefatti.
I neuroni specchio costituiscono un sistema particolare di neuroni che si attiva sia uqando si compie un’azione sia quando la si vede compiere. Quando guardiamo un qualsiasi oggetto manipolabile, nel nostro cervello si attivano contemporaneamente delle parti visive e delle parti motorie, che riguardano la nostra interazione con quell’oggetto, come se esso non potesse essere definito compiutamente se non in base al suo uso. Per noi umani vedere un oggetto implica richiamare il programma motorio che controlla che cosa fare con quell’oggetto, simulando un’azione potenziale. Dunque, contraddicendo un’impostazione cognitivo-linguistica, il significato di un oggetto viene definito dalla relazione pragmatica con quell’oggetto, dall’azione fisica potenziale che si potrebbe compiere con esso.
Il sistema dei neuroni specchio, tuttavia, non si attiva solo quando si compie o si guarda compiere un’azione, ma anche quando si intuisce quell’azione (cioé quando è in toto o in parte nascosta), oppure quando la si vede solo raffigurata, in un’immagine, in un quadro, in un manifesto, in un video. Ed è stato dimostrato che la funzione dei neuroni specchio va al di là della mera visualità e può riguardare anche gli altri sensi.
I neuroni specchio sembrano inoltre costituire la chiave dell’empatia, la capacità di comprendere quello che stanno provando gli altri, dunque sarebbero fondamentali anche nelle relazioni umane. I neuroni specchio ci consentono di quasi di leggere dentro la mente degli altri, ci aiutano a capirli meglio, a comprendere – quasi a condividerne – la condizione mettendoci nei loro panni. Noi umani siamo profondamente sociali… Se vediamo per strada una persona carica di un gran numero di pacchi che è in difficoltà, anche se non siamo nella sua situazione comprendiamo quello che sta provando, la sua condizione, la sua fatica, la sua precarietà , e magari ci offriamo di aiutarla. Oppure quando siamo al cinema o a teatro possiamo commuoverci davanti alla recitazione degli attori, immedesimandoci (come si dice) nella situazione che stanno vivendo: gli attori sanno bene che se caricano determinate emozioni, mostrandocele col volto o col corpo, noi rispondiamo di conseguenza. O ancora quando quasi automaticamente sorridiamo di rimando a chi ci sorride, o quando imitiamo involontariamente certe azioni, gesti o atteggiamenti di chi si sta di fronte per essere accettati o capirne la benevolenza. I neuroni specchio producono una sorta di imitazione interna di ciò che percepiamo fuori di noi: Vittorio Gallese, uno dei membri del gruppo di ricerca che li ha scoperti, parla a proposito di “simulazione incarnata”. “E’ un meccanismo automatico e pre-riflessivo cruciale nel determinare quella consonanza intenzionale che nell’altro mi fa vedere in primis non un diverso sistema rappresentazionale ma un alter ego, cioé un altro da sé, un’altra persona che con me condivide tutta una serie di meccanismi che fanno di noi degli esseri umani”. (V. Gallese, “Neuroni specchio e intersoggettività” in Luisa Garofani, Giovanni Pierini (a cura di), Neuroni Specchio. La relazione empatica tra Scienza, Filosofia, Arte, Cura, Ferrara, Azienda USL Ferrara, 2008, p. 18. Atti del primo convegno nazionale sui neuroni specchio).
Recentemente si sono aperti nuovi ambiti di ricerca sull’importanza del sistema dei neuroni specchio nell’esperienza estetica sia delle arti visive, dato che tale sistema si attiva anche in presenza di immagini, di raffigurazioni, che delle arti performative. Lo stesso Gallese, insieme a David Freeberg, storico dell’arte statunitense, ha pubblicato uno studio in cui viene avanzata l’ipotesi che le opere d’arte possano attivare meccanismi incarnati, di natura universale, in grado di simulare azioni, emozioni e sensazioni corporee. Tale processo sarebbe fondamentale per la comprensione degli effetti delle immagini artistiche, e più in generale di quelle prodotte dai mass media.
Questo approccio non deve essere confuso con quello della neuroestetica, che lo stesso Gallese non condivide, secondo il quale nella realizzazione dell’opera d’arte gli artisti seguirebbero consciamente o inconsciamente determinate regole e principi e principi per stimolare le aree visuali del cervello. Queste posizioni tendono a ignorare o a sottostimare la dimensione sociale dell’arte. Detto con una tautologia, l’arte è ciò che una cultura decida che sia arte. L’arte viene sempre definita a partire da una dimensione sociale e ha un ruolo che è principalmente di natura sociale. Questo fa sì che opere celebrate nei contesti dell’arte contemporanea semplicemente sfuggano alle logiche interpretative della scienza per seguire le logiche più o meno apparenti della condivisione sociale, della comunicazione di massa, dell’economia, della politica, oppure abbiano una provenienza extra-artistica, o ancora che abbiano successo a dispetto delle discipline scientifiche che cercano di inquadrarle artisticamente. La dimensione sociale dell’arte non può mai essere ignorata, e a partire dagli anni ’60 numerosi artisti hanno realizzato, spesso in collaborazione con scienziati, lavori che utilizzano strumenti e tecnologie brain-based.
In questo numero di “Nuovi Orizzonti” Roberta Buiani, docente e media activist operante sulle convergenze tra arti, scienze e tecnologie interviene sulle problematiche della simulazione in situazioni invisibili a occhio nudo (le immagini microscopiche) o che sfuggono a uno sguardo d’insieme (i fenomeni di networking). Quanto ha a che fare la rappresentazione finale con l’oggetto o il fenomeno di partenza, la cui informazione passa attraverso “filtri” tecnologici, scientifici, ideologici che magnificano e contemporaneamente dissipano qualcosa? Jennifer Kanary Nikolov(a), artista, docente e ricercatrice ci parla invece dei progetti di simulazione del celebre fenomeno psichiatrico del sentire le voci. Queste sperimentazioni sull’ascolto delle vibrazioni meccaniche del suono, anche attraverso le ossa come nel progetto di Laurie Anderson, fanno parte di una ricerca che sarà integrata in una complessa installazione multimediale a cavallo tra la dimensione artistica e quella scientifica.
Pier Luigi Capucci
D’ARS year 50/nr 203/september 2010