L’edizione italiana di Telepresenza e Bioarte è la cronaca del viaggio dell’artista Eduardo Kac che parte dalle telecomunicazioni per arrivare fino alla genomica
A fine 2016 è stato pubblicato anche in Italia il libro di Eduardo Kac, Telepresenza e Bioarte, interconnessioni in rete fra umani, conigli e robot, nella collana Mediaversi, edizioni CLUEB. A distanza di diversi anni dalla sua prima pubblicazione negli Stati Uniti (2005) questo libro, curato da Pier Luigi Capucci e Franco Torriani, rimane un importante resoconto di un percorso artistico che parte dalle telecomunicazioni per arrivare fino alla genomica. Non si tratta di una semplice documentazione autobiografia, ma anche di un’analisi storica e critica della sua poetica inserita in un contesto internazionale fatto di relazioni e reciproche contaminazioni. Il libro Telepresenza e bioarte è una raccolta di testi che l’autore ha pubblicato negli anni del suo lavoro ed è suddiviso in tre parti principali: telecomunicazioni, dialogismi e arte in rete; arte della telepresenza e robotica; art biotech. Questa suddivisione è utile per individuare le tematiche centrali delle sue diverse produzioni artistiche e per collocarle nel contesto culturale del proprio tempo. Procedendo nella lettura, è evidente come ogni fase contenga in embrione le tematiche sviluppate successivamente e come ogni nuova opera guardi consapevolmente alla produzione precedente.
Nella prima parte di riflessioni, quasi contemporanee alla nascita della net art, Kac analizza come le telecomunicazioni abbiano modificato il paradigma dell’arte più tradizionale, ridefinendo i rapporti gerarchici tra artista e spettatore. A partire dalle avanguardie del Novecento fino alla networking art, l’artista brasiliano individua un percorso di esperienze che lui definisce di estetica dialogica, intendendo l’arte come collaborazione all’interno di una scambio comunicativo, cioè intercomunicazione. Questo sposta l’attenzione dal contenuto di ogni singola opera alla struttura del processo comunicativo che mette in atto, quindi sull’esperienza comunicativa. Questa esperienza vede gli esseri viventi coinvolti in sistemi sempre sempre più complessi, agenti tecnologici che vanno dalla televisione, a internet e fino ai robot.
Kac coniuga le proprie esperienze artistiche di telecomunicazione con la telepresenza in Ornitorinco. Questo è il nome sia di una serie di opere di telepresenza che del telerobot usato per realizzarle, sviluppato nel 1989 con Ed Bennett. Gli eventi Ornitorinco coinvolgevano due aree geografiche differenti, una di controllo remoto del telerobot e quella in cui il telerobot agiva. L’opera era da considerarsi come telepresenza non in virtù del controllo remoto, ma perché il robot diveniva ospite dell’essere umano che interagiva con altri esseri umani attraverso di esso. In un evento del 1994, Ornitorinco in Even, l’opera ha visto una ulteriore ibridazione con sistemi di telefonia tradizionali e cellulari, internet e videoconferenze. Questa esperienza univa lo spazio di internet agli spazi fisici di Seattle, Chicago e Lexington. Gli osservatori collegati da remoto potevano vedersi l’un l’altro mentre guardavano attraverso l’occhio dell’Ornitorrinco e potevano controllarne simultaneamente gli spostamenti. Questa opera a distanza di anni mette in risalto un nodo percettivo fondamentale e irrisolto di internet, ovvero la percezione della presenza degli altri collegati contemporaneamente su uno stesso server. A differenza degli attuali servizi 2.0 in cui gli utenti sono chiamati ad agire singolarmente, nell’opera Ornitorrinco in Even la consapevolezza reciproca dei partecipanti che condividevano un corpo robotico spingeva i singoli non a un controllo solipsistico, ma a uno scambio collaborativo. Ancora oggi le tecnologie pubblicizzate come promotrici di interazione sociale si dimostrano in realtà dispositivi per la distribuzione di prodotti e in pratica generano isolamento. Siamo ben lontani dalla consapevolezza della presenza e dalla collaborazione collettiva tra corpi connessi, ibridi o robotici che siano.
La percezione e la relazione tra corpi ibridi è uno dei temi che attraversa la terza parte del libro relativa all’art biotech (di cui per D’ARS hanno scritto lo stesso Kac e Antonio Caronia). Il coniglio transgenico Alba di Eduardo Kac è definito il Che Guevara dell’arte biotech, in riferimento al grande peso mediatico che questo animale ha assunto nel corso degli anni. Ideato nell’ambito del progetto artistico GFP Bunny e nato nell’aprile del 2000 a Jouy-en-Josas in Francia, Alba è un coniglio “fluorescente” frutto di una tecnica largamente diffusa nei laboratori che fa uso di una proteina GFP della medusa Aequorea victoria, causa della sua luminescenza, come marcatore genetico. L’autore con GFP Bunny evidenzia l’effettiva esistenza di una ecologia transgenica e lo fa in modo ancora più esplicito nell’opera The Eighth Day (di cui abbiamo scritto anche qui) sviluppata all’Institute for Studies in the Arts dell’Università dell’Arizona nel 2001. L’artista racchiude sotto una semisfera di vetro diversi esseri viventi transgenici modificati con l’uso della proteina GFP. Mette insieme piante GFP, topi GFP, pesci GFP e un biobot, cioè un robot il cui movimento e funzionamento dipende dalla divisione cellulare di amebe GFP. L’istallazione era posizionata in una stanza scura, con una luce blu che illuminava la semisfera evocando l’idea di un pianeta visto dallo spazio. Sul pavimento era proiettato un video di acqua che si muoveva, il cui suono era metafora della vita. Lo spettatore così si trovava a camminare sulle acque come nuovo creatore di ecosistemi transgenici e robotici. Il biobot fungeva anche da avatar per gli spettatori che partecipavano via internet. Il suo comportamento era così la combinazione delle attività del mondo microscopico delle amebe e di quello macroscopico della rete. The Eighth Day tematizza la realtà di esseri viventi creati isolatamente in laboratorio che sono destinati a non interagire con altre forme di vita. Nell’opera sono invece messi insieme a creare un nuovo ecosistema che si espande fino alla rete.
La società contemporanea e biotecnologica, basata sul culto del dominio sulla natura trasmette valori di biodeterminismo e analizza l’essere vivente sulla base delle piccole parti che lo compongono. L’arte biotech e transgenica ha posto lo spettatore a diretto contatto i dibattiti relativi alle coltivazione di esseri transgenici, alla brevettabilità della vita e ai fantasmi dell’eugenetica. Anche oggi risulta di importante attualità, basti pensare al recente progetto genetico di stampo transumanista De-Extinction.
Nelle suo lavoro Kac, adotta lo stesso approccio della scienza, cioè fa apparire le sue opere prevedibili, controllate e credibili, come fa notare Vincenzo Guarnieri nella prefazione al libro, ma allo stesso tempo produce oggetti reali che sono l’incarnazione di nuove forme di quel complesso fenomeno che chiamiamo “vita”, sollevando il problema di dover riflettere su un nuovo sistema di convivenza. L’edizione italiana del libro si conclude con un l’aggiunta di un ulteriore capitolo rispetto all’edizione originale, dedicato alla serie Natual History of Enigma (2003-2008, presentata in Europa nella mostra Sk-interfaces), la cui opera centrale è un plantimal, dal nome Edunia, un fiore geneticamente modificato per essere un ibrido tra l’artista stesso e una petunia. Il risultato di questa manipolazione è una fioritura che genera l’immagine del sangue umano che scorre nelle venature del fiore. Questa serie di opere è proposta come riflessione sulla contiguità della vita tra specie differenti. Ci pone però inevitabilmente di fronte alla nascita di una nuova forma di vita ibrida che coinvolge l’umano e che è destinata a popolare quella che i curatori del libro definisco la “Terza Vita”.
Loretta Borrelli
Telepresenza e Bioarte, interconnessioni in rete fra umani, conigli e robot
Eduardo Kac
CLUEB, Collana <mediaversi>, 2016
Edizione italiana a cura di Pier Luigi Capucci e Franco Torriani