In occasione della ristampa di Take Your Pleasure Seriously abbiamo rivolto qualche domanda al suo autore, Luca Barcellona, artista, calligrafo e writer, per capire più da vicino il senso del suo lavoro
È uscita la ristampa di Take Your Pleasure Seriously per le edizioni pregiate Lazy Dog. L’edizione paperback ha un formato più grande, una copertina diversa. Una edizione più giovane dell’opera prima che ha riscosso ampio consenso di critica e pubblico. L’autore è Luca Barcellona, un riferimento internazionale per la calligrafa moderna. La sua poetica fa convivere la manualità di un’arte antica con i linguaggi e gli strumenti dell’era digitale. La moda, la discografia, l’editoria e la pubblicità usano il suo lettering. Nelle collezioni permanenti dell’Akademie der Kunst di Berlino e la Harrison Collection alla San Francisco Public Library ci sono i suoi lavori.
È un calligrafo, ma anche un grafico, un writer ma anche musicista. Tiene workshop e conferenze in tutto il mondo e insegna per l’Associazione Calligrafca Italiana.
Insegnare, cercando di rendere la calligrafia contemporanea è uno dei suoi obiettivi; ossia, ci spiega Luca Barcellona “utilizzare la comunicazione di ora con gli strumenti di cinque secoli fa”. Per recuperare “una conoscenza del passato che oggi manca. Per fare calligrafia bisogna sapere quello che c’è stato prima”.
Luca Barcellona applica la calligrafia al design, alla moda, alla grafica, ma c’è chi rimane “copista” e fa “un lavoro più artigianale”. Chi dialoga con il digitale invece parte dalla conoscenza: “Molti font digitali vengono dalla calligrafia; di sicuro bisogna conoscere questa origine per lavorare con il digitale. Se se ne conosce la forma la si può scrivere con strumenti digitali (anche usando proiezioni)”.
Rifare una lettera, studiandone le fonti, è uno dei punti imprescindibili dell’artista: “il copista quando non reitera non riproduce lo stile, ma a un certo punto, quando acquisisce una conoscenza profonda, sente l’esigenza di dire la propria e di dare la sua versione di quello stile, e questo è relativo alle forme e alla loro attualizzazione.
Come hai costruito tua creatività?
Oltre alla tecnica ciò che conta viene dall’esperienza: la calligrafia è un filtro, un percorso di vita attraverso il quale si imparano cose di se stessi. Quando si fa calligrafia si lascia il proprio segno e comprendere l’importanza di quel momento, è il momento stesso della scrittura. Agire con il pennello sulla carta è la consacrazione di tutta l’esperienza acquisita sulla vita. Ho ampliato la mia parte spirituale lavorando e conoscendo registi, atleti, musicisti, non ho mai precluso nulla. Occorre saper spaziare su più conoscenze possibili per ottenere una risposta alla domanda del cliente.
Abbiamo bisogno di sporcarci ancora le mani, nonostante il digitale?
La scrittura è un modo per riappropriarsi di qualcosa di fisico, di manuale, abbiamo bisogno di sporcarci le mani. In digitale ho “l’acquarello” ma se non ho fatto l’esperienza reale del colore non posso averne il controllo nemmeno nella sua versione digitale. Nella cultura orientale ci sono due binari paralleli, uno è la tecnologia e la modernità e l’altra è la tradizione. In Giappone non buttano la cultura millenaria perché hanno l’iPhone. Io lotto perché ci sia interesse verso una delle discipline che hanno a che fare con la fisicità.
Perché la calligrafia non è generalmente considerata arte?
Pochi calligrafi vengono considerati artisti dallo statuto dell’arte. Io mi ritengo un artigiano, il mio campo sconfina in quelle che sono considerate arti figurative e non. Purtroppo se la calligrafia non è considerata arte dipende dal fatto che è sempre stata considerata un’arte applicata.
Il copista è un artigiano, ma quando sente l’esigenza di andare oltre le competenze tecniche, usando le lettere, allora può nascere un’opera d’arte. Ma è proprio la tendenza a etichettare le correnti, che l’ha resa fuori dall’arte con la A maiuscola. Mi dicevano: non nominare la calligrafia altrimenti l’immaginario collettivo la collega all’amanuense. Comunque se fai un lavoro in cui le lettere sono opere espressive, fai arte.
Tu sei anche un writer, come coniugare i tuoi segni con quelli di cui lo spazio urbano è saturo?
Il writer non intende comunicare ma reiterare il linguaggio della pubblicità. Quando si esce da questo codice allora il lettering può veicolare un messaggio ed avere una funzione pubblica e le due tecniche possono coincidere.
La tua arte arriva anche negli spazi pubblici. Ho visto a Spoleto un tuo intervento per Onthewall. Come si coniuga il rigore di una disciplina come la calligrafia con le esigenze di leggibilità pubblica?
In un lavoro site specific vedo la nicchia, creo un’immagine da cui si dovrebbe essere colpiti, il livello successivo è la leggibilità. Se c’è leggibilità ne decifro il contenuto. Non cerco il citazionismo, ma restituire la scrittura. Ad esempio quello che mi ha colpito di una canzone o di un testo lo restituisco in quel modo.
Luca Barcellona, AlphabetLove. Foto Andrea Boscardin
A Spoleto hai stravolto lo statuto della Stret Art, si può rivitalizzare la parola e la lingua con la calligrafia?
Sono consapevole che ciò che faccio in pubblico mi sopravvivrà nella maggior parte dei casi, cerco di pubblicare libri perché credo che ciò che sopravvivrà al nostro passaggio è ciò che lasciamo in campo artistico e letterario. Avranno un peso le parole se vengono veicolate nel modo giusto, oggi va di moda il culto della persona. Quando faccio una cosa in un museo sono ancora più contento perché lasci qualcosa che ti sopravvive.
Ci dai una definizione di segno? È il segno che diventa significante, cioè lettera, o il processo creativo è inverso?
Il segno è la testimonianza del nostro passaggio
Fare calligrafia pone dinanzi alla sfida di ri-trovare se stessi, dice Anna Ronchi dell’Associazione Calligrafica…
Ronchi è stata mia insegnante, magari tutti i calligrafi avessero un decimo della sua cultura! Ha un pensiero molto fine. Gli orpelli, le decorazioni che non fanno parte della struttura, dovrebbero venire dopo. Mentre i neofiti sono attratti dalle decorazioni, attratte dal gioco, dagli svolazzi, a volte anche eccessivi.
Come evitare che la calligrafia sia decorativismo?
Munari diceva che un lavoro è finito quando non c’è più niente da togliere. Il percorso della scrittura è andare all’essenza, perché un gesto è un gesto. La bellezza va cercata nella semplicità. Chi è pieno di orpelli non è una persona semplice. Scrivere è ricerca di se stessi, vogliamo stupire o vogliamo arrivare all’essenza del gesto e quindi mostrare anche la nostra indole?
La tua calligrafia fa dell’anacronismo una sfida ai tempi del marketing e della comunicazione veloce. A quale tempo espressivo vuoi arrivare e perché?
C’è una parte della calligrafia che vuole stupire, come accadeva in passato. Io mi devo difendere dall’appiattimento digitale. A volte è necessario che i lavori siano sporchi, si deve vedere che sono fatte a mano.
Quando la tua disciplina è in funzione di un marchio o di un brand la calligrafia dialoga con altri segni, altrettanto comunicativi o forse concorrenziali. Qual è il suo apporto?
In pubblicità si lavora in maniera molto frenetica, i tempi sono incredibilmente corti, ci vorrebbe una settimana per progettare, ma questa non c’è mai. E quindi il risultato non è il miglior lavoro ma la miglior risultante di quel rapporto tempo/qualità. Per me è una sfida perché in mezz’ora non s’asciuga nemmeno un inchiostro. Allora cambio strumento per velocizzare il processo. Sto parlando di cose su cui non è necessario un originale perfetto. E qui molti calligrafi gettano la spugna. È una sfida, è importate discernere la calligrafia per passione con quello che è il mestiere. Il mestiere non aspetta l’aspirazione. Se hai poco tempo metti a frutto tutto quello che sai per ottenere il risultato.
Simone Azzoni
Il sito di Luca Barcellona: www.lucabarcellona.com