Il Centre Pompidou consacra un’ampia retrospettiva a Anselm Kiefer, artista tedesco ormai quasi naturalizzato parigino.
La dimensione del tempo e della memoria accompagnano il visitatore secondo un percorso che, pur essendo strutturato secondo la cronologia della produzione, costituisce una sorta di viaggio iniziatico volto a esplorare l’interiorità e l’evoluzione dell’uomo Kiefer ancor prima che dell’artista.
Se una presa di coscienza della realtà storica della Germania nazista lo ha condotto talvolta a giocare su una provocazione che a una lettura superficiale di alcune opere potrebbe indurre a un fraintendimento simile a quello che provocò su Chaplin quel capolavoro di ironia che è Il grande dittatore, l’approccio di Kiefer appare in costante oscillazione tra la cultura ebraica di cui è permeato e una critica della strumentalizzazione di miti e valori culturali operata con intenti demagogici al fine di legittimare la prevaricazione dei nazionalismi.
Si tratta di un’analisi che inerisce il pensiero umano nella sua globalità: la mitologia germanica è quanto l’artista ha conosciuto più da vicino in ragione dei suoi natali e non costituisce altro che un esempio inserito in un linguaggio che si vuole nettamente universale e attraverso il quale i confini nazionali esplodono per allargare il campo di visione a tutto il pianeta. Ogni mito fondatore di un’ideologia, sembra dirci, serve in realtà a ricordare all’umanità che gli errori e le forzature interpretative si ripetono nel corso dei secoli e portano a deviare dai veri obiettivi, dal significato più profondo della nostra presenza sulla Terra.
Su tutto domina – implacabile – il dio Kronos che nel suo incessante divorare vanifica le velleità per trasmettere l’iniziazione a una realtà trascendente.
In tale direzione si inserisce la riflessione spirituale di Kiefer che, partendo dal Talmud che pertiene alla sua religione di base, si spinge nei complessi meandri della Kabbalah per abbracciare il buddismo e allargarsi a una ricerca iniziatica connotata da una profonda valenza esoterica il cui oggetto d’indagine diventa il rapporto tra l’uomo e l’universo. In un processo di trasformazione alchemica in cui il piombo occupa il ruolo principale, il messaggio si cristallizza in libri, pellicole, detriti, rovine che sembrano ammiccare all’inconsistenza delle vanità umane.
Nel suo interrogarsi l’artista riprende in epoche differenti alcuni soggetti e tematiche aggiungendo nuovi spunti di riflessione: assimilabile a un sincretismo degli stadi divino, eroico e umano teorizzati da Giambattista Vico, il ripercorrere le tappe permette di metabolizzare la lezione della storia e – forse – a non commettere gli stessi errori.
Alla fine della seconda guerra mondiale il Piano Morgenthau mirava a trasformare la Germania in una nazione esclusivamente agricola al fine di prevenirne eventuali future mire espansionistiche impedendo lo sviluppo dell’industria. Nell’apparente liricità dei campi che in tempi recenti imperano nella produzione kieferiana e che potrebbero far pensare a uno scenario post-apocalittico in cui la Natura riprenderebbe il controllo, è peraltro possibile cogliere una sottile ironia che allude al fatto che nel gioco dei corsi e ricorsi storici il carnefice può diventare vittima.
Unica nota stonata dell’esposizione l’installazione esposta nell’ultima sala: Pour Madame de Staël: de l’Allemagne, che riprende la tematica della foresta come culla della mitologia per celebrare la grande scrittrice e pensatrice tedesca che animò uno dei salotti letterari più importanti dell’inizio del diciannovesimo secolo. Non convincono né la concretizzazione dell’opera né l’estrema concettualità della stessa.
Inutile fare un elenco delle circa 150 opere presentate. Non si renderebbe giustizia al grande respiro di un pensatore che ha scelto gli strumenti plastico e pittorico per trasmettere un monito a non dimenticare: un memento di particolare attualità in un’epoca che è contrassegnata dall’ipnotismo di chimere che non hanno un domani.
Danilo JON SCOTTA